Wuhan, Codogno, e gli impianti sportivi

Se non c’è la parola “coronavirus” nel titolo è naturalmente sottintesa: in queste settimane, stadi e palestre entrano in cronaca con due diversi ruoli, da ospedali di emergenza in Cina a impianti vuoti da noi e altrove.

Foto diffusa dall’agenzia di stampa Xinhua, Wuhan, 4 febbraio 2020 (autore Xiong Qi).

Gli impianti di Wuhan, termometro dell’epidemia

Era il 5 febbraio quando dalla regione di Wuhan sono arrivate, accanto alle immagini degli ospedali di emergenza costruiti in meno di dieci giorni (Huoshenshan Hospital, 1000 posti letto, e Leishenshan Hospital, 1600), quelle di stadi e palestre convertiti in ospedali di fortuna.

Da Twitter (@globaltimesnews) sono ricavate queste immagini dell’Hongshan Gymnasium (con le sedute blu) e di un altro impianto (che non siamo riusciti a identificare, con le sedute rosse), attrezzati come ospedali da campo, per ricoverare i pazienti contagiati (ma certo non destinati alla terapia intensiva).

La notizia riferiva della conversione di 11 impianti, tra centri sportivi e padiglioni fieristici, per ospitare almeno 10.000 pazienti in isolamento.

È il ruolo che spesso hanno queste strutture in caso di calamità eccezionali: lo abbiamo visto anche da noi in occasione, ad esempio, dei terremoti che richiedono l’immediato ricovero di centinaia di sfollati in ambienti coperti e sicuri.

Amatrice 25/08/2015. Il risveglio nel palazzetto dello sport dopo il terremoto
Amatrice 25/08/2015. Il risveglio nel palazzetto dello sport dopo il terremoto (foto Nicola Marfisi).

La fine dell’emergenza ? (in Cina)

La notizia di oggi – e siamo al 10 marzo – è la chiusura dell’ultimo di questi impianti provvisoriamente convertiti all’assistenza sanitaria, a significare la fase terminale dell’emergenza epidemica (almeno stando a quanto riporta il South China Morning Post).

Emergenza che nei Paesi dell’Occidente è indietro forse di un paio di mesi: a suon di proiezioni, tanto dovremo aspettare per raggiungere lo stesso risultato.

La resa degli sportivi (nel mondo)

La diffusione del virus ha cominciato a spaventare il mondo sportivo internazionale nel mese di gennaio, a cominciare dagli organizzatori degli eventi previsti in Cina e poi, via via, negli altri Paesi asiatici. Il 5 febbraio abbiamo dato notizia delle prime variazioni ufficiali di calendario per diverse discipline, spesso finalizzate alle qualificazioni olimpiche.

Tokyo, 9 agosto 2019, zona del villaggio olimpico di Harumi in costruzione (foto Ned Snowman/Shutterstock).
Tokyo, 9 agosto 2019, zona del villaggio olimpico di Harumi in costruzione (foto Ned Snowman/Shutterstock).

Con la velocità di diffusione del virus nel mondo, sono andate poi rapidamente aumentando le cancellazioni di tornei e coppe, fino alla ventilata ipotesi di un rinvio degli Europei di calcio e delle stesse Olimpiadi di Tokyo: già l’accensione della torcia olimpica, in programma in Grecia il 12 marzo, avverrà a porte chiuse.

Gli impianti (quasi) deserti (in Italia)

Nel nostro Paese, dove abbiamo giocato allegramente fino al 21 febbraio, le cose sono andate diversamente.

A cominciare dall’incolpevole Codogno, condannata, con i Comuni viciniori, ad un isolamento dal resto del mondo quale primo focolaio nazionale di un’epidemia che in realtà era già strisciante, non vista, anche altrove.

I campi deserti della Polisportiva San biagio a Codogno nei giorni della quarantena (foto Beatrice Grillini).
I campi deserti della Polisportiva San Biagio a Codogno nei giorni della quarantena (foto Beatrice Grillini).

I decreti ministeriali si sono susseguiti sempre più severi, prima raccomandando poi vietando le manifestazioni sportive, prima consentendole solo “a porte chiuse”, decidendo infine che, in Lombardia e in 14 altre province, “sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati”. Con l’ulteriore decreto del giorno seguente, il divieto è stato esteso a tutto il territorio italiano (qui il DPCM dell’8 marzo e il DPCM del 9 marzo).

Le eccezioni (sempre in Italia…)

Palestre e campi deserti anche perché “è vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico”. Ma tuttora con le dovute eccezioni: “lo sport e le attività motorie svolti all’aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metro”. Running e jogging, biciclettate individuali, yoga nel parco, con le debite distanze sono quindi ammessi.

Runners nel Parco di Monza (foto BG per sport&impianti).
Runners solitari nel Parco di Monza (foto BG per sport&impianti).

E non solo: “Gli  impianti sportivi sono utilizzabili, a porte chiuse, soltanto per le sedute di allenamento degli atleti, professionisti e non professionisti, riconosciuti di interesse nazionale dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e dalle rispettive federazioni, in vista della loro partecipazione ai giochi olimpici o a manifestazioni nazionali ed internazionali; resta consentito esclusivamente lo svolgimento degli eventi e delle competizioni sportive organizzati da organismi sportivi internazionali, all’interno di impianti sportivi utilizzati a porte chiuse, ovvero all’aperto senza la presenza di pubblico; in tutti tali casi, le associazioni e le società sportive, a mezzo del proprio personale medico, sono tenute ad effettuare i controlli idonei a contenere il rischio di diffusione del virus COVID-19 tra gli atleti, i tecnici, i dirigenti e tutti gli accompagnatori che vi partecipano”.

Il presidente del CONI Malagò (foto BG per sport&impianti).
Il presidente del CONI Malagò (foto BG per sport&impianti).

La decisione di sospendere ogni attività sportiva di propria competenza fino al 3 aprile era stata presa dal CONI già nel pomeriggio di lunedì 9 marzo.

Ultima ad arrendersi la serie A di calcio, che ancora l’8 e il 9 marzo ha giocato a porte chiuse nella speranza di salvare il calendario. Ora il Campionato è fermo almeno fino al 3 aprile, con ulteriori complicazioni in vista degli Europei.

Ma probabilmente non è questa oggi la nostra principale preoccupazione.