Come valutare la candidatura italiana per EURO 2032

Dopo la presentazione ufficiale dell’Italia con i suoi dieci stadi (quasi tutti in realtà ancora da realizzare o ristrutturare) va affrontato quello che potrebbe essere il percorso futuro, con tutti gli interrogativi che presenta.

La presentazione della coppa di Euro 2020 allo stadio di Bucarest il 16 marzo 2019 (foto Mircea Moira/Shutterstock). L’Italia divenne campione d’Europa con la finale dell’11 luglio 2021 allo stadio di Wembley.

L’ufficialità della candidatura dell’Italia a ospitare gli Europei di calcio 2032, arrivata a inizio aprile, ha chiuso un primo capitolo nel dibattito dei mesi scorsi (con la FIGC che aveva pensato anche all’edizione 2028) e ha aperto quello sul percorso pratico da affrontare, lasciando però alcuni punti interrogativi non di poco conto, e ragionandoci per ora ancora con un po’ di cautela.

L’ok italiano è arrivato negli stessi tempi tecnici di quello della candidatura congiunta Regno Unito+Irlanda per Euro 2028, e della Turchia, che invece gioca su entrambi i fronti (2028 e 2032), e arriva al quinto tentativo consecutivo di ospitare il massimo torneo continentale di calcio (finora senza successo).

Non è il caso di paragonare in senso stretto le tre candidature fra loro (o forse sì ma sarebbe comunque una semplificazione), tenendo anche conto che la scelta definitiva della UEFA arriverà a settembre 2023 per entrambe le edizioni, ma un punto da cui partire c’è: la proposta “britannica” mette sul piatto 10 stadi di cui soltanto 1 deve affrontare un progetto di totale ricostruzione (il Casement Park di Belfast), situazione analoga alla Turchia (con i lavori in partenza per il New Ankara 19 Mayıs Stadium, ad Ankara).

L’Italia include invece una lista di 10 impianti, dei quali: solo uno è certamente definitivo (l’Allianz Stadium di Torino); un altro è probabile (viene citato San Siro, per ora, dietro cui rimane l’ombra alternativa del possibile nuovo stadio di Milano); per 3 impianti c’è un progetto già definito ma non ancora avviato (il restyling di Bologna e Firenze, e il nuovo stadio di Cagliari); gli altri 5, infine, vivono di una speranza, quella di venire ristrutturati e ammodernati nel caso che la candidatura abbia successo (a tutto questo si aggiunge infine Palermo, escluso dalla prima macro-lista ma tenuto come “riserva”).

Questo dossier è quello più ipotetico dei tre ma è anche una mossa decisa della FIGC, una dichiarazione d’intenti importante che prova a collegare fra loro una serie di punti sul foglio che altrimenti rimarrebbero isolati fra loro.

Abbiamo già scritto, infatti, di come la realtà della proprietà pubblica degli stadi in Italia diventi spesso un problema anche più grande di quello che davvero rappresenta (TSPORT 349) e in questo scenario la candidatura italiana, citando le parole di Gravina, vuole essere “un Rinascimento del calcio italiano” attraverso il rinnovamento dei suoi stadi più grandi e importanti, provando a immaginare una realtà che fra 10 anni dovrà per forza essere diversa da oggi, rivolta al futuro, slegata da singoli interessi di bottega.

La UEFA ha stabilito un ventaglio di capienze minime per gli stadi da inserire nella candidatura, in base all’utilizzo nelle diverse fasi del torneo:

  • 1 stadio da minimo 60mila posti
  • 1 stadio da minimo 50mila posti (preferibilmente 2, oppure il secondo almeno compreso fra 40 e 50mila)
  • 4 stadi da minimo 40mila posti
  • 3 stadi da minimo 30mila posti

(vedi notizia anche su Archistadia).

Ovviamente queste capienze minime si possono tranquillamente superare per eccesso, andando a proporre anche tre o quattro stadi da più di 50mila posti, oppure più di uno stadio da oltre 60mila, ecc.

La situazione italiana di fronte a EURO 2032

Detto dello stadio della Juventus, dei progetti per Bologna, Firenze e Cagliari e della nota situazione di San Siro (nessuno lo vuole più ma è ancora la nostra unica certezza in prospettiva fra 9 anni?), lo sguardo va agli altri cinque impianti e alle scelte di restyling da mettere in atto: se l’Olimpico di Roma non dovrebbe essere modificato (ma accompagnato dall’ambizioso recupero del Flaminio per gli allenamenti), addirittura a Verona l’idea sarebbe quella di costruire uno stadio del tutto nuovo (in via Sogare, a poca distanza dall’attuale) con il Bentegodi riconvertito in impianto multisportivo per le 11 discipline racchiuse sotto l’egida della Fondazione Bentegodi.

Verona potrebbe quindi avere di fatto due impianti sportivi (e molto vicini fra loro), mentre a Genova l’occasione di Euro 2032 concretizzerebbe la volontà di ammodernamento del Ferraris, con l’adeguamento agli standard UEFA ma senza modifiche invasive sull’architettura generale. Verrebbe anche messa da parte l’ipotesi di altri impianti puntando a migliorare l’esistente, grazie al flusso economico esterno della candidatura e andando a rispondere alle esigenze di Genoa e Sampdoria.

Anche a Bari non ci sarebbero particolari stravolgimenti, con il San Nicola già interessato da alcuni interventi migliorativi negli ultimi mesi e con lo storico Stadio della Vittoria che verrebbe rimesso in funzione per ospitare gli allenamenti delle Nazionali. Il Maradona di Napoli, invece, almeno nelle intenzioni, dovrebbe subìre un restyling “ampio e profondo, per trasformarlo in un impianto contemporaneo” ma rimangono dei punti interrogativi sulla misura di questi interventi, sulla loro fattibilità e sulle tempistiche.

I requisiti UEFA per l’attuale format e organizzazione degli Europei di calcio puntano in modo particolare anche all’extra-campo, partendo dalla mobilità da e per gli stadi, fino alla sicurezza per i tifosi e alla “legacy” del torneo (che deve avere una ricaduta futuribile sullo sviluppo del calcio a livello nazionale).

Il coinvolgimento dei tifosi dev’essere organizzato per essere inclusivo e festoso, promuovendo il lato “turistico” dell’evento con una ricaduta pratica sulle città ospitanti, e mettendo di conseguenza in moto una macchina organizzativa che va oltre l’ambito prettamente sportivo.

Anche su questo punto l’Italia sembra essersi mossa in modo organico all’interno del dossier di candidatura, facilitata dalla connotazione già di per sé turistica delle nostre città.

Alla voce-stadi, invece, nel dossier “futuribile” della FIGC si potrebbero scorgere (con pessimismo) delle similitudini con gli interventi fatti per Italia 90, pensati e avviati all’epoca solo dopo aver ottenuto il torneo dalla FIFA, e quindi per forza di cose affrettati, fuori scala e per nulla lungimiranti. Guardando il tutto con ottimismo, invece, la speranza è che la lezione del 1990 sia stata imparata da tutti.