In vista della riapertura di palestre e piscine: a colloquio con Angelo Gnerre

Non c’è dubbio che lo sport sia un’attività economica con una grande rilevanza sociale. Eppure per centri sportivi, piscine e palestre non si è ottenuta una riapertura ragionata e tempestiva delle attività. Che cosa è mancato? Ne parliamo con Angelo Gnerre, gestore, socio e amministratore di società sportive dilettantistiche.

Le chiusure del settore sport sono un argomento dibattuto a lungo in questo anno di pandemia, di cui abbiamo già discusso in un articolo precedente e che affrontiamo oggi nuovamente con Angelo Gnerre, gestore, socio e amministratore di diverse società sportive dilettantistiche, concentrandoci sul valore dello sport.

C’è un dato di fatto che tutto il mondo dello sport non ha mai smesso di puntualizzare: che lo sport non è un’attività economica pura, fine a stessa ma è un’attività di rilevanza sociale, fondamentale per il benessere del singolo e della collettività. “La chiusura dettata dal DPCM 24-10-2020 ha sbrigativamente declassato lo sport di base e dilettantistico ad una mera attività produttiva non essenziale, svuotato del proprio valore sociale, quale elemento di sostegno al benessere psicologico delle persone e, soprattutto, del proprio insindacabile ruolo nella lotta alla sedentarietà e alle numerose patologie da essa derivanti”.

Sono fermamente convinto che l’attività sportiva sia sinonimo di salute, poiché è scientificamente dimostrato che una popolazione attiva è il miglior strumento di prevenzione che uno Stato possa avere. Quindi, da uomo di sport, ho accettato con grande rammarico e disappunto le limitazioni che, ancora oggi, la cabina di regia che collabora con il Governo ha imposto al mondo sportivo, soprattutto alle piscine coperte ma anche alle altre strutture, limitando l’utilizzo di servizi vitali come le docce e, in alcuni sport, gli spogliatoi”.

Lo sport: un punto fermo da cui ripartire, per evitare danni a lungo termine

Dopo oltre un anno dall’inizio della pandemia, continua a mancare un confronto scientifico con il mondo sportivo e con i suoi veri attori, oltre a un approccio molto più rigoroso nell’individuazione dei veri fattori e degli indici di rischio pandemico per ogni attività e struttura sportiva. “Emerge l’incongruenza di penalizzare un settore ad alta valenza sociale come il nostro, consentendo invece la riapertura di attività o comportamenti molto più a rischio”.

Continua Gnerre: “Con queste scelte si mette in crisi, inconsapevolmente o con superficialità, anche la gestione e il futuro di strutture come gli impianti sportivi che spesso sono patrimonio pubblico, con ingenti danni per le amministrazioni locali se ci saranno chiusure definitive”.

Se pensiamo poi all’importanza sociale dei centri sportivi quali luoghi di aggregazione e di promulgazione di valori sociali “sani”, di integrazione e di prevenzione sanitaria – attraverso la diffusione di corretti stili di vita  – risulta ovvio che “l’attività sportiva dovrebbe rientrare in una serie di agevolazioni fiscali sia intrinseche – per esempio, esenzione dall’Iva dell’intera attività, anche quella commerciale, sia estrinseche  – con la possibilità di sgravi per gli utenti come quelli esistenti per le spese sanitarie“.

Dovrebbe essere assunto un concetto fondamentale: lo sport e l’attività sportiva in genere devono essere dei punti fermi dai quali ripartire. “C’è il rischio di disabituare bambini ragazzi e adulti all’attività sportiva e di perdere un patrimonio impiantistico e di occupazione ben superiore alle risorse necessarie per la ripartenza”.

Nelle foto: Centro sportivo SNEF Lambrone – Erba (Como).