Roma, Tavecchio e lo Stadio Flaminio

Lo Stadio Flaminio, un gioiello architettonico di Pierluigi Nervi, i cui disegni sono stati esposti questa primavera in una mostra al MaXXi, è oggi del tutto fatiscente.

Il Flaminio, già tempio del rugby fino al 2012, è praticamente abbandonato da quando, nel 2014, furono disdette tutte le utenze a seguito di un contenzioso tra il Campidoglio, che ne è proprietario, e la Coni Servizi che lo aveva assunto in gestione dopo l’uscita della Federazione Rugby.

Da allora nessuno ha più fatto manutenzione e l’erba ha invaso le tribune mentre il cemento armato comincia presentare i segni del lavoro dell’acqua piovana, cominciando a mettere a rischio la tenuta strutturale. Una stima valuta in 15 o 16 milioni il minimo necessario per ripristinare l’impianto, e forse un’altra decina per renderlo adatto ad ospitare partite ufficiali.

D’altra parte, l’opera è protetta dalla Fondazione Nervi che ne vieta la modifica estetica; inoltre non è possibile scavare per ottenere un maggior numero di posti, in quanto nel sottofondo sono stati ritrovati dei resti archeologici. Fin dal 2014 la Figc aveva sviluppato, in accordo con il Comune di Roma, un progetto che prevedeva di far giocare al Flaminio tutte le under e la nazionale femminile, ospitando anche le federazioni che potevano usare la struttura (disegnata non solo per il calcio, ma anche per altri sport).

Nel febbraio 2015, con il cambio di governo della Figc, la Federazione aveva però dichiarato la rinuncia alla gestione dello stadio. Oggi, Tavecchio ha rimesso sul tavolo un’ipotesi di recupero: a patto di trovare i soldi, il Flaminio potrebbe rinascere, forse addirittura come casa della Nazionale.