PNRR, resilienza all’italiana

Manca un anno alla scadenza del PNRR, quando tutti i progetti finanziati dovranno essere conclusi. Il punto.

Pubblicazione cartacea su: Tsport 363
(Foto Artem Avetisyan)

Affidandoci a Openpolis (www.openpolis.it) per un monitoraggio complessivo del Piano in base ai dati resi pubblici al 31 marzo scorso, rileviamo che la spesa erogata rispetto al totale dei fondi PNRR è pari al 33,8%: i due terzi rimanenti dovrebbero quindi essere spesi nei quindici mesi successivi.

I ritardi sono evidenti, e d’altra parte il Governo, di fronte alle difficoltà di attuazione, ha già presentato cinque richieste di aggiornamento del Piano iniziale.

E nel nostro settore come sta andando? Le cifre relative all’impiantistica sportiva le abbiamo fatte più volte su queste pagine e nei nostri incontri formativi; e moltissimi lavori, finanziati in tutto o in parte con i fondi PNRR, sono indubbiamente in corso di realizzazione e spesso solo grazie alle scadenze imposte dai regolamenti europei.

Ma lo spirito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato interpretato – per così dire – all’italiana.

La parola “resilienza” – riprendiamo dai dizionari – è, nella fisica, la proprietà dei materiali di assorbire un urto senza rompersi; traslato in psicologia, è la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico. La Commissione Europea, con il programma Next Generation EU (declinato in Italia dal PNRR) intendeva finanziare interventi “all’interno di un disegno di rilancio e di transizione verso un’economia più sostenibile e meglio preparata a gestire crisi climatiche, economiche e sanitarie”, cioè più “resiliente”.

Ma un intervento di manutenzione straordinaria – ad esempio – all’interno di un centro sportivo, che viene portato a termine approfittando dei fondi PNRR, in che misura contribuisce alla transizione verso un’economia più sostenibile e “resiliente”, senza il suo coordinamento con tutte le altre iniziative analoghe?

Il difetto principale nella messa a terra del Piano (prima ancora della sua attuazione) è stata la mancanza di un vero piano di ampio respiro. La dispersione dei fondi in mille e mille rivoli che sono andati ad alimentare in modo episodico i progetti giacenti nei cassetti delle pubbliche amministrazioni è il segnale della mancanza di una visione complessiva, di un vero “disegno”.

Con la conseguenza che, dopo aver drenato tutte le possibilità di intervento entro il 2026, rischiamo di non avere più niente da realizzare negli anni seguenti, e senza aver maturato una maggior resilienza.