Con la revisione della cosiddetta legge sugli stadi, prevista dalla legge delega sullo sport del 2019, il tentativo di allargare le maglie della fattibilità economico-finanziaria attraverso gli investimenti immobiliari rischia di scontrarsi con il ruolo dell’urbanistica e della pianificazione territoriale.
Urbanistica e Grandi Stadi: chi vince, chi perde con il Testo Unico sullo Sport
Roma, Piano Regolatore Generale. Tavola 3.17 “Sistemi e Regole”.
Le parole Urbanistica e Grandi Stadi dovrebbero, in un mondo perfetto, andare totalmente d’accordo.
Il Piano Regolatore Generale (in alcune regioni chiamato Piano di Governo del Territorio) è un atto di pianificazione con il quale il Comune disciplina l’utilizzo e la trasformazione del suo territorio e delle relative risorse, in base alle previsioni di sviluppo della popolazione e dell’economia locale. Ad esso sono sovraordinati piani territoriali di coordinamento a livello provinciale e regionale che tracciano le linee generali entro cui i Comuni possono muoversi in relazione a strategie – infrastrutturali, paesaggistiche, ecc. – di ordine superiore.
Un grande impianto sportivo incide già di per sé sul sistema urbanistico, paesaggistico, infrastrutturale del territorio: dovrebbe trovare quindi ragionevole collocazione nei piani territoriali ai vari livelli: i Piani comunali dobbiamo supporre che abbiano previsto dove sia più idoneo collocare nuove strutture di un certo tipo.
E se non l’hanno previsto, dovranno ristudiare l’intero sistema per riequilibrare spazi, servizi, consumo di suolo.
La deroga nella legge sugli stadi
Nel 2013, attraverso alcuni commi della legge di stabilità, nasceva quella che è conosciuta come “legge sugli stadi” (ripresa poi con il DL 50/2017 e con l’art. 62 della Legge 96 del 2017). Questa ha lo scopo di aiutare i club a dotarsi di stadi di proprietà, moderni ed efficienti, come avviene in altri Paesi europei, attraverso una procedura amministrativa semplificata che riassuma in un’unica Conferenza di Servizi l’insieme delle autorizzazioni necessarie. Anche in deroga alle previsioni di Piano.
Certo, la norma stabilisce, timidamente, che gli interventi siano realizzati “prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente ad impianti localizzati in aree già edificate”, ma se così fosse il problema, in assenza di consumo di suolo, non si porrebbe nemmeno.
Ma ecco il passaggio chiave (che fino ad oggi ha consentito lunghi bracci di ferro e non ha favorito i tempi di realizzazione): “Ai fini del raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa o della valorizzazione del territorio, lo studio di fattibilità può comprendere la costruzione di immobili con destinazioni d’uso diverse da quella sportiva, complementari o funzionali al finanziamento o alla fruibilità dell’impianto sportivo, comunque in aree contigue. È, comunque, esclusa la realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale”.
Se dunque un Piano Regolatore ha previsto in una certa misura l’uso del suolo, la dotazione di servizi e di infrastrutture e queste non coincidono con la proposta di fattibilità del nuovo impianto, due sono le cose: o va rivisto l’intero equilibrio del Piano, o il Piano stesso è un bluff privo di valore. Le volumetrie richieste a latere dei grandi stadi che oggi si sta tentando di realizzare non erano previste nei rispettivi strumenti di pianificazione urbanistica, e questo giustifica le reticenze ad approvarle.
La novità nel futuro Testo Unico
Ultima novità: forse per cercare di favorire ulteriormente le operazioni, ecco che la recente bozza del Testo Unico sullo sport (leggi qui) mostra una piccola ma significativa variazione al meccanismo previsto dalla “legge sugli stadi”. Scompare, dalla locuzione che abbiamo riportato sopra, la frase “esclusa la realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale”, e per di più compare la possibilità di edificare i volumi accessori “anche in aree non contigue”.
I pochi commentatori che se ne sono accorti hanno già gridato allo scandalo, e in effetti far passare per interesse pubblico, in abbinata alla costruzione dello stadio, un quartiere residenziale anche in un’area lontana dall’impianto suona come un regalo alla speculazione immobiliare, a dispetto di qualunque altro operatore che volesse muoversi liberamente sul territorio ma che non può farlo perché glielo vieta il Piano Regolatore.
La modifica però è peggiorativa solo relativamente. Fermo restando che l’urbanistica ne rimane decisamente sconfitta, il problema non è di premiare l’investitore con centri commerciali piuttosto che con appartamenti: l’ostacolo – ad esempio – a Milano è quantitativo: sono i metri cubi non previsti dal Piano comunale. Men che meno sarebbero consentiti se fossero residenziali.
Potrebbe invece essere utile la possibilità di posizionare il “regalo” volumetrico altrove: possibilmente in aree dove il Piano di Governo del Territorio già li consente. Ah già, ma se si possono fare anche senza Stadio, perché mai l’investitore dovrebbe prendersi il disturbo di fare lo Stadio?…
Conclusione
Sia chiaro che noi siamo più che mai favorevoli alla realizzazione di stadi, grandi o piccoli che siano. Sappia però il legislatore che, finché ci sarà qualcuno (nelle istituzioni e fuori) che difende le regole dell’urbanistica sarà sempre difficile portare a casa risultati con scorciatoie mirate ad aggirare le regole stesse.