Se non c’è la parola “coronavirus” nel titolo è naturalmente sottintesa: in queste settimane, stadi e palestre entrano in cronaca con due diversi ruoli, da ospedali di emergenza in Cina a impianti vuoti da noi e altrove.
Wuhan, Codogno, e gli impianti sportivi

Foto diffusa dall’agenzia di stampa Xinhua, Wuhan, 4 febbraio 2020 (autore Xiong Qi).
Gli impianti di Wuhan, termometro dell’epidemia
Era il 5 febbraio quando dalla regione di Wuhan sono arrivate, accanto alle immagini degli ospedali di emergenza costruiti in meno di dieci giorni (Huoshenshan Hospital, 1000 posti letto, e Leishenshan Hospital, 1600), quelle di stadi e palestre convertiti in ospedali di fortuna.
Da Twitter (@globaltimesnews) sono ricavate queste immagini dell’Hongshan Gymnasium (con le sedute blu) e di un altro impianto (che non siamo riusciti a identificare, con le sedute rosse), attrezzati come ospedali da campo, per ricoverare i pazienti contagiati (ma certo non destinati alla terapia intensiva).
La notizia riferiva della conversione di 11 impianti, tra centri sportivi e padiglioni fieristici, per ospitare almeno 10.000 pazienti in isolamento.
È il ruolo che spesso hanno queste strutture in caso di calamità eccezionali: lo abbiamo visto anche da noi in occasione, ad esempio, dei terremoti che richiedono l’immediato ricovero di centinaia di sfollati in ambienti coperti e sicuri.

La fine dell’emergenza ? (in Cina)
La notizia di oggi – e siamo al 10 marzo – è la chiusura dell’ultimo di questi impianti provvisoriamente convertiti all’assistenza sanitaria, a significare la fase terminale dell’emergenza epidemica (almeno stando a quanto riporta il South China Morning Post).
Emergenza che nei Paesi dell’Occidente è indietro forse di un paio di mesi: a suon di proiezioni, tanto dovremo aspettare per raggiungere lo stesso risultato.
La resa degli sportivi (nel mondo)
La diffusione del virus ha cominciato a spaventare il mondo sportivo internazionale nel mese di gennaio, a cominciare dagli organizzatori degli eventi previsti in Cina e poi, via via, negli altri Paesi asiatici. Il 5 febbraio abbiamo dato notizia delle prime variazioni ufficiali di calendario per diverse discipline, spesso finalizzate alle qualificazioni olimpiche.

Con la velocità di diffusione del virus nel mondo, sono andate poi rapidamente aumentando le cancellazioni di tornei e coppe, fino alla ventilata ipotesi di un rinvio degli Europei di calcio e delle stesse Olimpiadi di Tokyo: già l’accensione della torcia olimpica, in programma in Grecia il 12 marzo, avverrà a porte chiuse.
Gli impianti (quasi) deserti (in Italia)
Nel nostro Paese, dove abbiamo giocato allegramente fino al 21 febbraio, le cose sono andate diversamente.
A cominciare dall’incolpevole Codogno, condannata, con i Comuni viciniori, ad un isolamento dal resto del mondo quale primo focolaio nazionale di un’epidemia che in realtà era già strisciante, non vista, anche altrove.

I decreti ministeriali si sono susseguiti sempre più severi, prima raccomandando poi vietando le manifestazioni sportive, prima consentendole solo “a porte chiuse”, decidendo infine che, in Lombardia e in 14 altre province, “sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati”. Con l’ulteriore decreto del giorno seguente, il divieto è stato esteso a tutto il territorio italiano (qui il DPCM dell’8 marzo e il DPCM del 9 marzo).
Le eccezioni (sempre in Italia…)
Palestre e campi deserti anche perché “è vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico”. Ma tuttora con le dovute eccezioni: “lo sport e le attività motorie svolti all’aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metro”. Running e jogging, biciclettate individuali, yoga nel parco, con le debite distanze sono quindi ammessi.

E non solo: “Gli impianti sportivi sono utilizzabili, a porte chiuse, soltanto per le sedute di allenamento degli atleti, professionisti e non professionisti, riconosciuti di interesse nazionale dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e dalle rispettive federazioni, in vista della loro partecipazione ai giochi olimpici o a manifestazioni nazionali ed internazionali; resta consentito esclusivamente lo svolgimento degli eventi e delle competizioni sportive organizzati da organismi sportivi internazionali, all’interno di impianti sportivi utilizzati a porte chiuse, ovvero all’aperto senza la presenza di pubblico; in tutti tali casi, le associazioni e le società sportive, a mezzo del proprio personale medico, sono tenute ad effettuare i controlli idonei a contenere il rischio di diffusione del virus COVID-19 tra gli atleti, i tecnici, i dirigenti e tutti gli accompagnatori che vi partecipano”.

La decisione di sospendere ogni attività sportiva di propria competenza fino al 3 aprile era stata presa dal CONI già nel pomeriggio di lunedì 9 marzo.
Ultima ad arrendersi la serie A di calcio, che ancora l’8 e il 9 marzo ha giocato a porte chiuse nella speranza di salvare il calendario. Ora il Campionato è fermo almeno fino al 3 aprile, con ulteriori complicazioni in vista degli Europei.
Ma probabilmente non è questa oggi la nostra principale preoccupazione.