Come per l’erba sintetica, anche il cemento ha la possibilità di rendersi “sostenibile”. Vediamo come.
Speciale Green Building / Il cemento sostenibile

(foto Bilanol)
Premesso che il cemento è un componente (legante) del calcestruzzo, pur confondendosi nell’uso corrente i due termini, è innegabile che il calcestruzzo sia oggi il materiale da costruzione più utilizzato, in particolare dopo l’invenzione della sua versione “armata”, risalente alla fine dell’800.
In termini di impatto ambientale, il cemento ha una cattiva fama, non solo per la connotazione negativa data dal suo uso sfrenato sul territorio (la “cementificazione”), ma proprio a causa del processo di produzione che richiede elevate temperature e genera grandi quantità di anidride carbonica (si stima l’8% delle emissioni globali di CO2, dati IEA 2023).
I più importanti produttori di calcestruzzo sono però in corsa nella ricerca di soluzioni per la realizzazione di un prodotto più sostenibile a parità di prestazioni, attraverso l’adozione di materiali diversi (ad esempio pozzolane naturali, residui di altoforno, ceneri), il riciclo di aggregati provenienti da demolizioni, l’utilizzo di tecnologie avanzate.
Uno dei processi più efficaci, in grado di portare alla creazione di un cemento “net-zero carbon captured” è quello di catturare l’anidride carbonica emessa nella produzione del clinker (componente di base del cemento) e di stoccarla senza che si diffonda in atmosfera. Una volta catturata, la CO₂ può essere stoccata in formazioni geologiche sicure o riutilizzata in processi industriali, ad esempio per produrre materiali da costruzione o combustibili sintetici. Questo tipo di tecnologia è nota come CCUS (Carbon Capture, Utilization and Storage).

Completamente diversa è la natura “sostenibile” di un’altra linea di prodotti, i calcestruzzi drenanti: in questo caso, il loro impiego per le pavimentazioni consente di migliorare il deflusso delle acque meteoriche e l’attenuazione dell’effetto “isola di calore urbana”.
LCR: la classificazione dell’impronta ambientale di cemento e calcestruzzo.
Come abbiamo visto per l’erba sintetica con l’ESTC, nel settore del cemento è attiva la GCCA, Global Cement and Concrete Association, che dal 2018 coordina oltre l’80 % della capacità produttiva mondiale (esclusa la Cina) in programmi e strumenti condivisi.
La GCCA ha introdotto due strumenti globali — LCR-Cement e LCR-Concrete — per classificare l’impronta di CO₂ di cemento e calcestruzzo, fornendo un quadro omogeneo di confronto.
L’intento è duplice: fornire ai professionisti un quadro chiaro e operativo e stimolare un dibattito costruttivo su come integrare questi strumenti nelle pratiche progettuali e nei criteri di valutazione ambientale.

L’LCR ha lo scopo di tradurre il Global Warming Potential (GWP), già riportato nelle EPD di terza parte (“Dichiarazioni ambientali di prodotto”), in una classe che va da AA (Near-Zero) a F (più emissiva).
LCR-Cement misura l’impronta di carbonio del cemento, che nella fase di cottura del clinker produce il 90% delle emissioni. LCR-Concrete, a sua volta, valuta la sostenibilità della miscela.
I due strumenti di misura, a loro volta, vanno usati per arrivare a una valutazione LCA di progetto (ne abbiamo parlato nell’articolo iniziale di questo Speciale), della quale costituiranno uno dei fattori di partenza, quello della sostenibilità della materia prima.
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