Giochi Paralimpici Rio 2016

Dal 7 al 18 settembre a Rio de Janeiro si sono svolte le prime Paralimpiadi Sudamericane, competizioni agonistiche in 23 sport per circa 528 titoli assegnati ad atleti paralimpici. Reportage dell’architetto Paolo Pettene.

Pubblicazione cartacea su: Tsport 311

Caratteristiche sportive in campo come durante i Giochi di agosto, compreso il numero degli impianti che in un primo momento si pensava potesse essere ridotto per ragioni economiche: invece no, le Paralimpiadi sono state un’altra Olimpiade.
4.350 atleti provenienti da oltre 160 nazioni. Nel complesso, oltre 100 gli atleti italiani che sono volati a Rio, ospitati al Villaggio Paralimpico.
Questa è la piacevole sensazione che ha accompagnato il mio viaggio in Brasile per l’evento già negli aeroporti, per il gran numero di atleti e accompagnatori su carrozzina, con esibite e “non nascoste” protesi futuristiche biomeccaniche e bioniche studiate per garantire la migliore condizione di motorietà e adatte per le prestazioni sportive.
L’esperienza umana rispetto alle precedenti partecipazioni alle Olimpiadi, è stata personalmente dal punto di vista di progettista specializzato in impiantistica sportiva e come omologatore FIN, unica e importante per elevare le conoscenze tecniche e la sensibilità rivolta agli utenti sportivi diversamente abili.

È bene ricordare che la prima edizione riconosciuta ufficialmente come “Paraolimpiadi” si disputò nel 1960 a Roma in Italia. Chiaramente in quell’epoca e nonostante l’eccellenza impiantistica (che ha fatto la storia nei decenni successivi per la realizzazione degli altri parchi olimpici moderni nel mondo) non era ancora sufficientemente strutturata normativamente e la diffusione delle pratiche paraolimpiche era ancora parziale e senza, allora, criteri consolidati di accessibilità.
La cerimonia di chiusura dei giochi sulle Paralimpiadi di Rio 2016 allo stadio Maracanà, (con la fiorettista Bebe Vio a portare il tricolore) ha evidenziato un’edizione da record per l’Italia: il bilancio finale con 39 medaglie, con 10 ori, 14 argenti e 15 bronzi. Un incremento di 11 podi rispetto a Londra 2012 – mai così bene da Atlanta ’96 – e la nona posizione nel medagliere: la Top ten mancava da ben 44 anni.
Il movimento paralimpico italiano funziona, insomma, e può festeggiare per il tanto atteso traguardo della doppia cifra negli ori. A trascinare la spedizione azzurra è il nuoto, con ben tredici podi di cui quattro dello scatenato Federico Morlacchi. Bene anche la scherma, con la giovane campionessa Bebe Vio in copertina, e l’atletica, dove Martina Caironi e Assunta Legnante dettano legge. Risultati super anche dal ciclismo, dove la leggenda Alex Zanardi si guadagna per l’ennesima volta i riflettori col trionfo individuale e di squadra, unico atleta azzurro a mettersi al collo due ori. “Fornendo una percezione della disabilità completamente diversa aiutiamo il Paese a crescere – ha esultato Luca Pancalli, Presidente del Comitato Paralimpico Iitaliano -. Le 39 medaglie vinte sono il risultato migliore degli ultimi 20 anni. Sono le conquiste alle paralimpiadi a ‘riabilitare’ la società, non il contrario”.
Gli impianti olimpici di Rio 2016, hanno quindi permesso agli atleti paralimpici di perseguire prestazioni di eccellenza assoluta, tra cui, ad esempio, quella di Abdellatif Baka è un’impresa destinata a entrare nella storia. Il corridore algerino, classe 1994, ha vinto l’oro paralimpico a Rio De Janeiro nella categoria T13 (atleti con bassa visione) con il tempo di 3’48″29, stracciando il 3’50″00 con cui l’americano Centrowitz aveva conquistato il gradino più alto del podio ad agosto, nella finale olimpica. Baka ha anche stabilito il nuovo record mondiale paralimpico.
Citiamo ad esempio alcuni accorgimenti apportati al Villaggio Paralimpico a Barra da Tijuca che è stato oggetto, negli ultimi dieci giorni, di alcuni cambiamenti, realizzati per adattare l’enorme complesso alle esigenze degli atleti paralimpici. Tutti gli edifici del villaggio sono stati già progettati con elevati standard di accessibilità ma per garantire più spazio e un maggior comfort una parte delle camere doppie sono state trasformate in singole. Dalla grande mensa sono state rimosse un considerevole numero di sedie, mentre la Otto Bock, la società fornitrice ufficiale di protesi e ortesi, ha allestito un centro di riparazione specializzato. (Fonte “Redattore Sociale”).
Per gli altri grandi impianti, sono stati adattati generalmente le zone di accesso alle pedane attività con raccordi, pedane di premiazione senza barriere, oltre all’allestimento dei campi attività specifici delle diverse discipline paralimpiche.

Visita al Centro Paralimpico Brasiliano di San Paolo

Il Centro Paralimpico Brasiliano di San Paolo, è stato progettato ai margini del ruscello Ipiranga, dove nel 1822 fu simbolicamente dichiarata l’indipendenza del Brasile. Un centro sportivo incastonato in un Parco Naturale, che conferma la volontà del Brasile d’investire nelle specialità paralimpiche. Circa 95.000 metri quadri di struttura, in cui gli atleti possono continuare ad allenarsi in 15 discipline differenti e hanno la possibilità di usufruire delle residenze adiacenti. Durante una delle prime viste tecniche autorizzate, Linamara Rizzo Battistella, responsabile della segreteria dei diritti delle persone con disabilità, non nasconde la soddisfazione per aver dato vita a un polo paralimpico di livello internazionale: “Uno dei quattro esistenti al Mondo e il maggiore per numero di specialità. Quest’investimento segue le linee guida di paesi come Ucraina, Cina e Corea del Sud, leader in queste attività”.
L’impianto risulta il principale centro di eccellenza in Brasile e America Latina per lo sport paralimpico, che ospita 15 discipline sportive: atletica, basket in carrozzina, bocce, scherma in carrozzina, 5 di calcio, calcio a 7, Goalball, sollevamento pesi, judo, nuoto, rugby in carrozzina, tennis da tavolo, tennis in carrozzina, triathlon e pallavolo seduta.

Sul posto, ci sono impianti sportivi indoor e outdoor, alloggio per 280 persone, caffetteria, lavanderia, palestra, sale di supporto e spogliatoi, oltre al Centro Medico e Scienze Motorie.
Non posso comunque nascondere – ed è stata la stessa sensazione della delegazione di cui facevo parte – che il contesto ambientale circostante evidenziava le problematiche di degrado con le Favelas circostanti.
A San Paolo e a Rio ho potuto partecipare a due workshop sul tema della progettazione delle Olimpiadi, dove è stato sintetizzato l’iter progettuale del parco olimpico partito nell’estate del 2011, quando l’agenzia governativa brasiliana responsabile del coordinamento ed esecuzione dei progetti legati alle Olimpiadi (EOM – Empresa Olímpica Municipal) ha lanciato il concorso di progettazione internazionale per il masterplan del Parco Olimpico in collaborazione con l’Istituto Brasiliano di Architettura (IAB – Instituto de Arquitetos do Brasil): un pezzo di terra triangolare di circa 120 ettari adagiato sulle rive della laguna di Jacarepaguá, già sede dell’autodromo intitolato a Nelson Piquet, con le montagne sullo sfondo a completare un contesto naturale mozzafiato nel distretto di Barra de Tijuca, circa 30 Km a sud-ovest del centro città, sarebbe stato al centro del confronto tra 59 gruppi di progettazione provenienti da 18 Paesi per la realizzazione del nuovo Parco Olimpico, cuore dei Giochi brasiliani.
Rio era stata selezionata come Host City due anni prima, nel 2009, scelta dai membri del Comitato Olimpico Internazionale sulla scia del successo dei Giochi Panamericani ospitati nel 2007 e si era prefissata di sfruttare l’opportunità dell’organizzazione dei Giochi Olimpici come strumento di pianificazione, trasformazione e riqualificazione territoriale. Da qui la scelta del vecchio autodromo di Jacarepaguá, a Barra de Tijuca, e il concorso internazionale di progettazione, culminato con l’annuncio della giuria della scelta del progetto realizzato dal team di architetti, ingegneri, pianificatori urbani e dei trasporti, paesaggisti ed economisti specializzati in impianti sportivi dello studio AECOM, in collaborazione con lo studio brasiliano DG Architecture, Wilkinson Eyre Architects, Pujol Barcelona Architects e IMG Sports and Expedition. Un progetto che insieme al masterplan del Parco Olimpico per i Giochi del 2016 ha previsto anche la pianificazione della legacy, il progetto a lungo termine di riqualificazione territoriale che la città avrebbe ricevuto in eredità dai Giochi, e della fase di trasformazione intermedia, in un periodo compreso tra i 5 e i 7 anni dopo il 2016: da un vecchio autodromo ormai in disuso in un’area piuttosto degradata della città a un grande parco con impianti temporanei e permanenti per celebrare il più importante festival dello sport internazionale, per poi trasformarsi ancora in un nuovo distretto urbano, con residenze e aree commerciali, spazi per la socializzazione e strutture per il tempo libero dove lo sport avrebbe occupato il 22% del sito con gli impianti olimpici permanenti da destinarsi alla funzione di nuovo Centro di Preparazione Olimpica nazionale per l’élite degli atleti brasiliani. Le aree rimanenti sono state programmate tra spazi pubblici e interventi privati in linea con i programmi a lungo termine della Città di Rio.
Gli spazi interni di questi impianti sono stati dimensionati e rifiniti proprio in base alle funzioni previste in legacy, mentre le aree aggiuntive richieste solo per le Olimpiadi e le Paralimpiadi sono state allestite in apposite overlay structures, tende e cabine temporanee, al fine di evitare sovradimensionamenti inutili e dispendiosi degli impianti che rimarranno in vita alla conclusione dei Giochi.

La parte meridionale del Parco, quella più vicina alla laguna, ospita gli impianti temporanei, da rimuovere al termine dei Giochi per consentire la realizzazione del nuovo distretto urbano previsto già in fase di concorso dal nostro progetto di riqualificazione a lungo termine. Si tratta di due impianti “smontabili” che possono essere riproposti con configurazioni differenti per altri usi dopo i Giochi: la Future Arena e l’Olympic Aquatics Stadium seguono i principi della Nomadic Architecture, intesa come insieme di componenti architettoniche modulari non ancorate a un luogo o a un edificio ma in grado di spostarsi da una costruzione all’altra.
La Future Arena, progettata dallo studio Lopes, Santos e Ferreira Gomes Arquitetos, sarà trasformata dopo i Giochi in quattro nuove scuole dislocate nella città di Rio.
L’Olympic Aquatics Stadium, un impianto temporaneo con una capienza di 18.000 spettatori, è stato progettato in fase preliminare da AECOM con la collaborazione dello studio Pujol Barcelona Architects secondo gli stessi principi di riutilizzo. Caratteristica di quest’impianto è la configurazione delle tribune raccolte intorno ai quattro lati della piscina olimpionica consentendo a tutti gli spettatori di sedere in prossimità della vasca: una soluzione non comune per impianti di questo tipo che di solito presentano una seconda piscina per i tuffi e di conseguenza una geometria delle gradinate più allungata e un’atmosfera meno raccolta (la seconda vasca è qui assente perché i tuffi sono stati ospitati al Maria Lenk Aquatics Centre). Nonostante non fosse strettamente richiesto per la natura temporanea dell’edificio, anche nella progettazione di quest’impianto si è posta molta attenzione sull’adozione di parametri di sostenibilità, adattandoli proprio ai principi stessi di temporaneità del manufatto: gli elementi modulari sono stati interpretati nella forma più elementare e integrati con una struttura leggera in modo da assicurarne un assemblaggio e uno smontaggio semplice e veloce mentre dal punto di vista meccanico si è cercato di migliorare l’efficienza energetica sfruttando le condizioni ambientali esistenti per massimizzare l’uso della ventilazione naturale al fine di ottenere le condizioni di comfort migliori per atleti e spettatori. Lo sviluppo successivo del progetto è stato affidato allo studio GMP.
La sostenibilità è stata uno dei principi guida per la progettazione del Parco Olimpico e degli impianti. Altri fattori fondamentali sono stati l’uso razionale dello spazio e la funzionalità operativa, determinanti quando si progettano impianti per ospitare grandi eventi, la realizzabilità delle opere e il controllo dei costi. Infine, elemento chiave in fase di progettazione è stato l’accessibilità: lavorando gomito a gomito con il Comitato Paralimpico Internazionale (CPI o IPC), abbiamo disegnato Parco e impianti a misura di atleti e spettatori diversamente abili, con problemi di mobilità, vista e udito, adottando soluzioni particolari per favorire il godimento dell’esperienza olimpica e paralimpica da parte di tutti.
Il progetto ha tenuto conto della previsione di 200.000 presenze giornaliere all’interno del Parco. La circolazione è stata studiata attraverso il Crowd modelling simulando i flussi nelle ore di maggiore affluenza, analisi che ci ha permesso di controllare e gestire in particolare le dimensioni del Common Domain, l’area del Parco accessibile al pubblico, e garantire un adeguato livello di circolazione. Gli spazi pubblici occupano l’asse centrale del sito (mentre ai due estremi e concentrato il Back of House, il “dietro le quinte” dei Giochi, ovvero gli spazi operativi per gli addetti ai lavori) e si snodano armonicamente in un’alternanza di impianti e spazi verdi fino a raggiungere il Live Site, una grande area di intrattenimento situata nella punta estrema della penisola e bagnata dalle acque della laguna, attrezzata con schermi e altri servizi per consentire agli spettatori di seguire le gare e vivere l’atmosfera dei Giochi anche al di fuori degli impianti. La laguna stessa entra così a far parte del Parco insieme alla vegetazione originaria del luogo e alle giovani mangrovie che sono state coltivate per alcuni anni e adesso popolano nuovamente l’area, ricucendo così secondo le intenzioni del nostro progetto paesaggistico un rapporto con il distretto di Barra de Tijuca ormai perso da tempo.
L’Italia ha contribuito nella costruzione degli impianti Olimpici e Paraolimpici con il suo migliore made in Italy.