Atalanta-Valencia: l’ultimo assembramento a San Siro

La partita di Champions League del 19 febbraio ha visto assembrarsi gomito a gomito 45.000 tifosi fuori e dentro il Meazza: provenienti da Bergamo e da Valencia. Da quel giorno tutto è cambiato.

Non siamo in grado – e non vogliamo – avallare l’ipotesi, fatta in altre sedi, che l’ultima partita giocata a Milano a porte aperte, Atalanta-Valencia, sia stata l’origine del virulento focolaio di Covid-19 nella provincia bergamasca e, parallelamente, in quella valenciana.

Fatto sta che un’immagine come quella di copertina è oggi impensabile: 42.000 bergamaschi e 2.500 ospiti valenciani accalcati, gomito a gomito e faccia a faccia, nella ressa ai cancelli, poi sugli spalti, e ancora nel dopo partita con bisboccia e bevute in comune senza inibizioni. E infine rientrati a casa, e al lavoro, a stretto contatto con parenti, amici e colleghi.

Certo era il 19 febbraio: il primo caso autoctono di infezione si accertava a Codogno due giorni dopo, e da lì scattavano gradualmente vincoli e divieti. Fu quell’ultimo assembramento di soggetti forse in parte già contagiati e ignari a determinare il focolaio bergamasco che è esploso nelle settimane seguenti (e di seguito in Spagna)? Ipotesi suggestiva e non provata.

Ma a noi interessa più osservare che il paesaggio dello stadio è in effetti quello: che senso avrebbe la partita a spalti deserti? Come si potrà riaprire un campionato volendo mantenere, anche dopo il picco dell’emergenza, delle cautele nelle abitudini dei cittadini?

E il futuro sarà diverso, o tornerà tutto “come prima”? I tanti progetti di “grandi stadi” sono fatti per decine di migliaia di persone radunate insieme e anzi replicate in tutti i giorni della settimana tra sport, ristoranti e centri commerciali. Un progetto di futuro che non sarà facile pensare di cambiare.

Ecco intanto, a bilanciare la foto di apertura, come si presenta un San Siro deserto.

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(Crediti fotografici: in apertura, Shutterstock; in chiusura BG/Tsport).