L’ autonomia del Coni è garantita per decreto. Ma c’era davvero un rischio per l’Italia?

Con un decreto-legge all’ultimo minuto il Governo ha risolto quella che sembrava una violazione della Carta Olimpica e che avrebbe potuto comportare da parte del CIO e il divieto di partecipare ai prossimi Giochi. Vediamo perché.

Il presidente del CIO Thomas Bach sul campo del Maracanà durante una visita agli impianti per Rio 2016 (foto A.Paes / Shutterstock).

Con generale soddisfazione (soprattutto del Presidente del Coni Malagò) è stata accolta la notizia che, due giorni prima della paventata riunione del Comitato Olimpico Internazionale del 27 gennaio, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto-legge per assicurare l’autonomia del Coni e la sua indipendenza quale componente del CIO.

Cosa sarebbe successo il 27 gennaio? Il comitato esecutivo del CIO si sarebbe riunito e in quella sede, constatato che il Coni violava i principi della Carta Olimpica, avrebbe potuto sanzionare l’Italia vietandole di partecipare ai prossimi Giochi di Tokyo con inno e bandiere.

La violazione della Carta Olimpica

L’edizione francese della Carta Olimpica – che fa fede in ogni controversia rispetto alle altre lingue – recita all’articolo 27 punto 6:

Les CNO doivent préserver leur autonomie et résister à toutes les pressions, y compris, mais sans s’y restreindre, les pressions politiques, juridiques, religieuses ou économiques qui pourraient les empêcher de se conformer à la Charte olympique.

Invece cosa avviene? Che la nostra “riforma dello sport”, varata nel 2019, ha creato una nuova società pubblica, “Sport e Salute”, per gestire i finanziamenti annuali elargiti dallo Stato e fino ad allora ripartiti autonomamente dal Coni attraverso la sua emanazione Coni Servizi. E ha lasciato a successivi decreti delegati il compito di definire gli aspetti esecutivi della riforma.

Entro il termine ultimo dettato dalla legge delega per predisporre i decreti attuativi (il 30 novembre scorso: ne abbiamo parlato qui), sono stati approvati una serie di decreti ma non quello che avrebbe dovuto trattare della governance, ossia la suddivisione dei compiti e delle risorse tra il Ministero, il Coni, Sport e Salute e le Federazioni.  Rimaneva in particolare non definito il rapporto tra Coni e la società ministeriale Sport e Salute, che avrebbe dovuto essere regolato da un “contratto di servizio”, soluzione non gradita – far gli altri – a Malagò. Da qui lo stallo.

Con una ridondante amplificazione del problema, il CIO è stato sin da subito chiamato in causa determinando nel tempo alcune lettere di richiamo da parte del Presidente Thomas Bach al nostro Governo perché garantisse l’autonomia del Comitato olimpico, fino a paventare per l’Italia le più dure sanzioni quali l’esclusione dai Giochi di Tokyo e addirittura il ritiro dell’assegnazione di Milano-Cortina 2026.

Il presidente del Coni Malagò (foto BG/Sport&Impianti).

Il lieto fine

Avrebbe realmente il CIO interpretato come una violazione dell’articolo 27 la fumosa indeterminatezza “all’italiana” della nostra legge di riforma? E avrebbe di conseguenza vietato ai nostri atleti di andare a Tokyo (se ci si andrà) con la nostra bandiera e il nostro inno, come per gli Stati rei di gravi scandali in ambito sportivo e in materia di diritti umani? È difficile crederlo.

Comunque, sul filo di lana è stato varato il decreto-legge “recante misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento del Comitato olimpico nazionale italiano”, ove si “attribuisce al CONI una propria dotazione organica di personale, anche dirigenziale”; e “ai fini del perseguimento delle finalità istituzionali del CONI, il testo prevede il trasferimento a quest’ultimo di impianti sportivi e fabbricati specificamente individuati”.

Con due righe abbiamo risolto un problema che pareva epocale. Ora aspettiamo che la riforma diventi reale perché possa incidere in modo strutturale sul sistema sport italiano.