Roma: il Palazzetto dello Sport di Pier Luigi Nervi

È ripartita l’attività del PalaTiziano di Roma, ristrutturato dopo una chiusura durata 5 anni. L’impianto, realizzato nel 1957, è tornato operativo lo scorso ottobre per la stagione sportiva 2023/2024 di basket e volley.

Il PalaTiziano ristrutturato, 29 ottobre 2023 (Foto Berk Ozdemir / Shutterstock).

Il palazzetto dello sport era inutilizzato dal 2018, quando è stato chiuso perché non rispettava gli standard di sicurezza; il bando pubblico aggiudicato nel 2021 è partito con i fondi messi a disposizione da Roma Capitale di circa 3 milioni di euro.

In seguito, l’Amministrazione comunale è intervenuta con un’integrazione di 2,1 milioni di euro sul bando lavori per poter restituire una struttura agibile e completa, a norma.

La capienza del PalaTiziano, nella configurazione attuale, è di 2500 posti a sedere e dal 2024 potrà ospitare anche eventi non prettamente sportivi.

Gli interventi realizzati sul PalaTiziano hanno riguardato un complessivo lavoro di risanamento e adeguamento a norma degli ambienti con riqualificazione totale dell’edificio: spazi sportivi, spogliatoi, servo-scale per disabili.

Particolari dell’intradosso della cupola (foto Giuliocesare, lic. CC).

In particolare è stata stabilita una nuova distribuzione funzionale interna con ristrutturazione spogliatoi e adeguamento normativo dei blocchi bagni e riqualificazione della zona vip e sono state rifatte la pavimentazione dell’area sportiva e l’impermeabilizzazione della copertura.

Anche gli impianti sono stati oggetto di rifacimento: quelli di illuminazione, climatizzazione ed elettrico.

Il PalaTiziano sarà gestito dal Comune di Roma attraverso Zetema che si occuperà anche di sorveglianza; le società sportive pagheranno un canone simbolico per l’utilizzo della struttura.

La storia

Pier Luigi Nervi, 1891-1979.

Il progetto del Palazzetto viene affidato nel 1956 dal CONI all’architetto Annibale Vitellozzi che coinvolgerà Pier Luigi Nervi nella progettazione delle strutture in cemento armato e della copertura di grande luce. Nato quale prototipo di impianto di media grandezza, idoneo allo svolgimento di diverse competizioni sportive ed eventi teatrali e musicali, solo successivamente sarà scelto per ospitare parte delle competizioni dei Giochi Olimpici di Roma del 1960 (pallacanestro e sollevamento pesi).

I lavori di costruzione iniziarono nel luglio 1956 e terminarono il 15 settembre 1957. Le opere strutturali in cemento furono realizzate dalla Nervi & Bartoli, mentre la Siemens si occupò dell’impianto di diffusione audio interno; la Barbieri installò gli impianti di condizionamento, riscaldamento e ricircolo aria e la Electra si occupò di tutti i lavori di illuminotecnica ed elettricità. Il costo totale dell’impianto ammontò a 263 milioni di lire. (queste e altre informazioni sono tratte da “Games of the XVII Olympiad, Rome 1960 : the official report of the Organizing Committee Organizing Committee of the Games of the XVII Olympiad, v. 1”, scaricabile anche on line).

L’inaugurazione ufficiale avvenne il 1º ottobre successivo.

Dopo le Olimpiadi fu utilizzato soprattutto per eventi sportivi, ospitando per diversi anni le società romane di pallavolo e di pallacanestro.

L’importanza dell’opera architettonica di Vitellozzi e Nervi va riferita alla ricerca sul cemento armato e in particolare sulla prefabbricazione strutturale, alla fine degli anni Cinquanta, che (citiamo da Maria Teresa Cutrì e Marco Sterbini su archidiap.com) rimette in discussione i metodi di costruzione e concezione delle grandi strutture da pensare come insiemi di piccole parti e che lo stesso Nervi inventa e produce grazie all’Impresa Nervi e Bartoli, a partire dagli studi sulla geometria di due forme tipo come  il capannone e la cupola.

Pianta a quota +0,60, a quota +4,00 e sezione (da “Quaderni Vitrum” n. 5, senza data).

L’edificio ha un diametro di 78 metri per una superficie di 4.778 mq, ed è coperto da una calotta sferica composta da 1.620 elementi prefabbricati in cemento armato. Questi formano una sorta di “guscio” che, per essere irrigidito a dispetto del suo scarso spessore, presenta dei bordi ondulati. All’intradosso sono presenti delle nervature larghe circa 5 centimetri ed alte circa 15, che incrementano la resistenza della struttura.

A sinistra tavole di progetto (pubblicati da archidiap.com) e foto dei lavori di costruzione (anonimo, pubblico dominio).

Il peso della cupola viene scaricato su 36 cavalletti inclinati realizzati in cemento armato e costituiti da quattro aste che ricevono il peso della cupola mediante i due nodi superiori e lo scaricano a terra sui due nodi inferiori, di cui uno direttamente collegato all’anello di fondazione. I cavalletti sono disposti radialmente lungo il perimetro dell’impianto ad una distanza angolare di 10 gradi e lineare di 6,30 metri l’uno dall’altro;] i cavalletti sono inclinati secondo la tangente al punto di intersezione con la calotta in cemento.

Priva di funzioni portanti, la parte superiore della parete perimetrale è interamente costituita da vetrate continue.

Altre immagini dei lavori di costruzione, 1956-57 (a sinistra, anonimo; a destra, Fondazione MAXXI, fondo P.L.Nervi, lic. CC.).

Nervi, con Vitellozzi, opera così uno “schiacciamento” della visione esterna – rispetto a quella di un impianto sportivo classico – con l’azzeramento dello “spessore” dell’anfiteatro attraverso la realizzazione del guscio cui corrisponde, all’opposto, un allargamento dello spazio interno grazie alla qualità di diffusione della luce naturale che penetra dalle vetrate continue, amplificata dalle nervature strutturali intrecciate, e dallo sprofondare del piano di gioco che si trova a 3 mt sotto il piano di campagna.

Ricordiamo, per dare una collocazione completa dell’opera nel suo tempo, che, rispetto al valore che oggi diamo al lavoro ingegneristico di Nervi (parlando solo di impianti sportivi: 22 progetti che sono stati esposti nel 2016 in una mostra al MAXXi di Roma), negli anni ’50 e ’60 la critica architettonica non sempre fu benevola, rilevando la poca modernità di una concezione sostanzialmente “classica”, forzata sulle simmetria e su vincoli geometrici che il cemento armato avrebbe potuto tranquillamente sfidare (così in particolare, nella sua prima “Storia dell’architettura moderna”, Bruno Zevi, che il sottoscritto ha avuto come docente nella facoltà romana di Valle Giulia, il quale mal sopportava ogni sospetto di simmetria…).