Stadio della Roma punto e a capo: il destino dei progetti di un certo tipo

Dan Friedkin – dalla scorsa estate proprietario del club romano – ha abbandonato ufficialmente il progetto di Tor di Valle, con stadio e grattacieli annessi, che tanto ha fatto discutere per quasi un decennio.

La notizia è molto semplice: la proprietà americana dell’A.C. Roma ha annunciato, a margine del bilancio semestrale della società, che il progetto dello stadio della Roma attualmente in attesa di approvazione sull’area di Tor Vergata non è più di interesse in quanto “divenuto di impossibile esecuzione”.

Le motivazioni addotte fanno riferimento soprattutto alla sostenibilità finanziaria, anche a seguito delle mutate prospettive economiche causate dalla pandemia: il “business park” di grattacieli che avrebbe dovuto rendere positivo il bilancio dell’operazione non è più – in una prospettiva post-pandemica – un investimento sicuro.

Le alternative

Si abbandona il progetto dello stadio da 52-60.000 posti con annesse volumetrie terziarie e commerciali: non si esclude però di rimanere eventualmente nella stessa area di Tor di Valle, ma con uno stadio da 40-45.000 posti, “verde, sostenibile e integrato con il territorio”. E senza volumi aggiunti.

Con la disponibilità, inoltre, di esaminare altre localizzazioni: Tor Vergata, per esempio, zona periferica e urbanisticamente adeguata; così come si parla dell’eventualità di intervenire sullo Stadio Flaminio (meno praticabile dati i vincoli esistenti sulla struttura attuale) o su aree individuate nei dintorni di Fiumicino.

L’urbanistica

Come sempre, quando un progetto “salta”, si dà la colpa alla burocrazia incapace e inconcludente. Ma se è pur vero che per qualunque intervento si deve passare da estenuanti fasi decisionali, è tanto più azzardato sperare in rapide decisioni quando i progetti partono con delle proposte “fuori misura” che richiedono delle vere e proprie forzature ideologiche per essere accettate.

È il caso appunto dei progetti che, come quello di Tor di Valle (e lo stesso vale per il nuovo San Siro), chiedono di abbinare allo Stadio una quantità di volumetrie non sportive, non previste dai Piani Urbanistici vigenti, per rendere remunerativo l’investimento.

La principale difficoltà è che per approvare la variante urbanistica occorre dichiarare la “pubblica utilità” dell’operazione; ma se ciò è accettabile nei confronti della costruzione dello stadio, non è altrettanto facile per i volumi edilizi “speculativi”. Ricordiamo come nasce il caso della Roma (ne abbiamo parlato in questo articolo): pur nulla avendo da ridire sullo stadio (che andrebbe a sostituire il vecchio ippodromo ormai deserto), il progetto di massima collocava nell’ansa del Tevere una quantità spropositata di grattacieli a destinazione commerciale.

Richiesta – e ottenuta – una riduzione dei volumi (che da tre grattacieli si riducono ad alcune palazzine di 7 piani), la Conferenza di Servizi del 5 dicembre 2017 approvava il progetto condizionandolo però a molti gravosi vincoli realizzativi: gravosi, alla fin fine, per le casse pubbliche, poiché le infrastrutture indispensabili a reggere l’impatto dello stadio (e del “business park”) venivano in parte sottratte agli obblighi dell’operatore in virtù delle ridotte volumetrie realizzabili, finendo in capo allo Stato, alla Regione o al Comune, con il rischio di vedere i volumi realizzati subito e le infrastrutture domani (e a carico dei cittadini).

Un progetto “verde” e senza business park potrebbe avere sorte migliore, non dovendo sottostare a valutazioni di impatto ambientale e varianti urbanistiche difficili da digerire. Anche la stessa area di Tor di Valle potrebbe essere valida, come abbiamo detto, dato anche l’impegno che l’Amministrazione Capitolina si è presa di realizzare comunque le infrastrutture indispensabili, stadio o non stadio.

I tifosi non pensino che non si vogliano fare gli stadi; così come non si vuole vietare la costruzione di grattacieli o altre modernità: ma si facciano, gli uni e gli altri, dove e come l’urbanistica comanda.