La manutenzione delle superfici ibride, come e perché

L’esempio del manto erboso dello stadio U-Power di Monza: un contributo di Camillo De Beni (Sport Surface Consultant e Turfgrass Agronomist) allo Speciale di TSPORT 350 dedicato alle superfici sportive in erba.

Pubblicazione cartacea su: Tsport 350
Il manto dell’U-Power Stadium di Monza, vincitore del “miglior campo della serie B” 2021/22 (tutte le foto dell’articolo sono fornite dall’autore).
Nella foto, l’autore sul campo del Sinigaglia di Como con l’impattometo (“Martello di Clegg”) per la verifica della durezza del terreno di gioco.

Oggi parlare dei manti erbosi ibridi, ad uso sportivo, non fa quasi più notizia. È tale la diffusione di questa tecnologia negli stadi e nei centri di allenamento più importanti del mondo, che è quasi più “sorprendente” scoprire che certi campi, molto sfruttati, non l’abbiano ancora adottata. Mi viene in mente a questo proposito lo stadio Olimpico di Roma, dove c’è uno dei manti erbosi più sfruttati in assoluto, ma non ancora rinforzato!

Di manutenzione dei campi ibridi occorre quindi parlare, perché se è vero che il manto erboso ibrido o rinforzato, che dir si voglia, rientra nella categoria dei manti erbosi naturali, è anche vero che la sua manutenzione non può prescindere da alcune lavorazioni meccaniche oltre che da   specifiche attività volte alla sua rigenerazione o “renovation”, come la chiamano gli inglesi, eseguita con tutti i crismi del caso.

Il terreno di gioco dell’U-Power Stadium

Monza in questo caso fa da sponda, perché il terreno di gioco dello stadio U-Power costituisce il classico esempio di come è possibile elevare le prestazioni, la giocabilità, la sicurezza e la qualità estetica del manto erboso, adottando la scelta dell’ibrido. L’ibrido, nel caso specifico, è un Mixto® quindi un Carpet Based Hybrid System, introdotto e posato in zolle Big-Roll (zolle da oltre 10 mq di superficie) dopo che il campo aveva manifestato evidenti limiti di tenuta e quindi di sicurezza e stabilità per i giocatori, nell’autunno 2020.

Il campo naturale esistente è stato quindi rimosso nei suoi primi 8 cm e nuovo top-soil sabbioso è stato riportato e uniformemente livellato previa esecuzione di microslits. I microslits non sono altro che un rinforzo del drenaggio esistente che viene realizzato con macchinari specifici (esempio: VibraSand master 1600). Tali macchinari riescono, in un unico passaggio, ad eseguire dei tagli verticali larghi 2-3 cm, scavandoli longitudinalmente al campo, ad interasse di 20-25 cm, per una profondità di 25 cm, colmandoli con sabbia grossa o risetta.

Alla corretta posa delle zolle pre-coltivate, provenienti dal vivaio della Rappo srl, con sede a Cusago (MI), quindi già perfettamente acclimatate, ha fatto immediato seguito un preciso e attento lavoro di manutenzione, profuso da personale qualificato e adeguatamente attrezzato. Il risultato è stato da subito eccezionale, tant’è che, a corredo del successo, alla fine del Campionato 2021-2022, il campo è stato premiato come “miglior campo” della serie B (all’epoca il Monza militava nella serie cadetta). Il risultato merita, a mio avviso, un encomio particolare perché ottenuto anche in assenza di un sistema di riscaldamento (il terreno di gioco tuttora non è dotato di sistema di riscaldamento sotterraneo) e senza l’aiuto della luminoterapia, quindi di lampade atte all’integrazione dei processi fotosintetici naturali con utilizzo di luce artificiale.

Il segreto di un successo: la manutenzione

La domanda che ci si pone quindi è: quale è stato il segreto di questo successo? La tecnologia ibrida certamente, ma non solo, perché quest’ultima, se non viene associata a un’adeguata manutenzione non è mai vincente, specie nel medio e lungo termine.

Manutenzione: quali sono gli aspetti prioritari che un campo ibrido, cucito (stitched) o carpet system, deve rispettare per mantenere inalterate le potenzialità e le prestazionalità del terreno di gioco ad uso sportivo?

Premesso che nei campi ibridi la componente naturale gioca un ruolo assolutamente prevalente rispetto alla componente artificiale e che pertanto l’aspetto agronomico e la manutenzione ordinaria rimane importantissima e vincolante per consentire la vita, lo sviluppo e la crescita del manto erboso, è anche vero che nei sistemi ibridi ci si trova a dover far convivere “in armonia” l’erba naturale con della “plastica”. Se da un lato la plastica ci fornisce il rinforzo meccanico, tanto ricercato e apprezzato, dall’altro lato essa costituisce un ingombro, un ostacolo ai processi biologici naturali che, notoriamente, si manifestano nei terreni.

Tra tutti, il ciclo della sostanza organica, è forse il processo biologico che più viene alterato dalla presenza di fibre artificiali, con il risultato inevitabile di un suo accumulo nei primi cm sulla superficie.

Nella foto, risultato dopo un primo passaggio con verticut: feltro e residui organici accumulati nei primi cm di superficie vengono estratti e successivamente raccolti ed eliminati.

Tutti i groundsman al mondo conoscono da sempre le problematiche legate all’accumulo della sostanza organica nei prati naturali. I groundsman inglesi, primi fra tutti ad aver utilizzato i sistemi ibridi nei loro stadi, hanno per questi sistemi coniato uno specifico slogan che, riferito alle fibre dei campi ibridi, cita: “Keep clean, keep straight”. In 4 parole gli inglesi hanno sintetizzato il concetto focale da rispettare per garantire costante prestazionalità al sistema ibrido. Quattro parole che ci indirizzano verso una necessità: quella di mantenere pulita la superfice del terreno di gioco dall’accumulo di sostanza organica.

Esistono allora diversi sistemi, quasi tutti meccanici, che ci consentono di raggiungere lo scopo. Partendo dai meno invasivi, si utilizzando arieggiatori a molle da utilizzare frequentemente (1 o 2 volte a settimana) per eliminare e rimuovere ciuffetti d’erba spezzati e detriti erbosi freschi accumulati a ridosso dei colletti delle piantine d’erba, per passare a veri e propri erpici a molle più o meno aggressivi (Terra-rake, Uni-rake) da usare un paio di volte al mese, capaci di pettinare, in un senso o nell’altro, il manto erboso per far emergere accumuli organici composti da erba morta e feltro (thatch) ancora non degradato, fino ad arrivare ai verticut e alle scarifiche, quindi al passaggio con vere e proprie lame di spessore variabile (2-3 mm) che incidono verticalmente per qualche mm (5-10-12 mm) sotto quota zero, andando a rimuovere materiale fresco e materiale già degradato e accumulato.

L’ultima, estremamente efficace ma estremamente invasiva è la macchina “scoticatrice”, (tipo Koro Field Top Maker) capace, con un unico passaggio, di rimuovere per intero lo strato superficiale di qualche cm (1-2-3 cm), asportando completamente il cotico erboso e gli accumuli organici presenti e rimettendo totalmente in luce le fibre sintetiche. In questo caso, come ovvio, si parla di “rinnovo” del manto erboso ed è necessario completare il lavoro eseguendo una vera e propria risemina dopo la pulizia, per ricreare un manto erboso efficiente, fresco e prestazionale. Oggi, con l’esperienza e la messa a punto dei macchinari nella gestione specifica dei prati ibridi, il mercato offre soluzioni quasi “personalizzate” per gli interventi di pulizia e asporto degli accumuli organici. Soluzioni che, specie per le scoticatrici, prevedono l’utilizzo di rotori che montano denti particolari, aggressivi “quanto basta” per eseguire il lavoro senza deteriorare eccessivamente la componente sintetica. La fibra sintetica e il backing (il supporto, nel caso dei sistemi orizzontali a Carpet system) devono essere infatti salvaguardati in modo da potersi esprimere nel successivo lavoro di rinforzo strutturale che andranno ad intraprendere quando il nuovo prato naturale si insedia.

Soluzioni alternative, prettamente biologiche, quindi meno efficaci nel breve periodo ma con effetti graduali e costanti nel tempo, prevedono l’utilizzo di prodotti organici inoculati con microrganismi specializzati nella degradazione della sostanza organica. Gli enzimi cellulosolitici prodotti dai microrganismi (Enzyme Thatch Degrader – ETD) consentono una riduzione dell’accumulo organico ed una sua trasformazione in nutrienti utili per la crescita dell’erba.

Un secondo non meno importante aspetto che caratterizza e distingue i sistemi naturali da quelli ibridi è la tendenza di questi ultimi ad apparire più duri (High Hardness). La criticità, frutto a volte di sensazioni soggettive, è in realtà facilmente misurabile con l’ausilio di strumenti appositi (Martello di Clegg) e, in caso di riscontri positivi, facilmente risanabile con il passaggio di macchinari (bucatrici tipo Pro core, Vertidrain, ecc..) allestiti con punte piene di diametro scelto in funzione delle necessità (8-10-12-18 mm).

In conclusione, la gestione dei manti ibridi generalmente utilizzati negli stadi e nei centri di allenamento non può prescindere da alcune semplici regole che, quando correttamente rispettate, consentono di mantenere sempre elevati gli standard di qualità e prestazionalità, garantendo l’espressione massima del potenziale di cui un prato ibrido è notoriamente dotato. 

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