Cura e gestione dell’erba: l’esperienza britannica alla base del progresso europeo

L’approccio e le conoscenze dei giardinieri britannici sono diventati nel tempo un modello da capire e sviluppare per tutti i club europei.

Pubblicazione cartacea su: Tsport 350
Londra, il Craven Cottage Stadium nel quartiere di Fulham nel 2013 (tutte le foto del servizio sono di Antonio Cunazza).

Quando in Norvegia, nel 1998, venne fondata l’azienda MLR Sports in pochi immaginavano la rivoluzione tecnologica che stava arrivando. MLR era, ed è, la sigla di “mobile lighting rigs” (tralicci illuminanti mobili) e l’idea era quella di contrastare la diffusione dei campi in erba sintetica nei Paesi scandinavi come unica soluzione per una gestione ottimale dei terreni di gioco anche in condizioni climatiche poco favorevoli.

Nonostante l’iniziale scetticismo (e il fatto che, va detto, in ogni caso l’erba sintetica è poi diventata la regola almeno nel calcio fra Norvegia, Svezia e Finlandia), alcuni potenziali problemi erano all’orizzonte, in particolare per il fatto che l’erba naturale non riuscisse a crescere soltanto grazie a un’illuminazione artificiale, e che in ogni caso non sarebbe stata abbastanza forte da sostenere poi il gioco.

La soluzione invece dimostrò di funzionare e, fra il 2002 e il 2004, arrivò nel Regno Unito, dove c’era un estremo bisogno di ottimizzare la cura dei prati, sia per migliorare la situazione generale dei campi fangosi e sconnessi anni ‘70 e ‘80, sia perché la Premier League stava imponendo un vero e proprio restyling di immagine a tutto il calcio inglese.

Nei primi anni 2000 i tralicci illuminanti furono inizialmente testati allo Stadium of Light di Sunderland, con 6 unità che dimostrarono di poter migliorare sensibilmente lo stato dell’erba nella metacampo sud, quella meno favorita dalla posizione dell’impianto rispetto alla traiettoria del sole, e velocemente si diffusero in tutto il resto del Paese.

Già nel 2006 questi tralicci compositi in una struttura a fisarmonica (richiudibile) erano visibili in molti (se non tutti) gli stadi inglesi di prima fascia, come Highbury, impianto di casa dell’Arsenal in quel periodo prossimo alla chiusura, o St. James Park, a Newcastle, dove 4 elementi illuminanti venivano spostati lungo il campo in un ciclo di 48 ore per tutto l’inverno: il risultato fu che già nel primo anno di utilizzo non fu più necessaria la semina e rizollatura di metà stagione, con un primo risparmio per il club di circa 120mila sterline.

L’innovazione fu determinante, i prati degli stadi inglesi iniziarono a diventare “tappeti” perfetti, curati nei minimi dettagli con una maestria senza eguali. L’introduzione dei tralicci illuminanti diventa decisiva anche per un altro sport molto “invasivo” per l’erba, il rugby, con lo stadio nazionale inglese di Twickenham e il Millenium Stadium in Galles fra i primi a utilizzare questa soluzione.

Dall’Inghilterra al Continente

Uno dei passaggi chiave nell’approccio alla cura dell’erba nel calcio europeo arriva quindi a cavallo degli anni Dieci del Duemila, quando i maggiori club del continente fanno un vero e proprio calciomercato parallelo puntando ai capi-giardinieri delle squadre inglesi.

Nel 2009, il Real Madrid acquisì dall’Arsenal Paul Burgess. Capo-giardiniere del club londinese fin dal 1999 e responsabile della splendida trasformazione del campo di Highbury, Burgess aveva già avuto un incarico di consulenza anche agli Europei 2004 in Portogallo, e dopo di lui fu l’Atletico Madrid a pescare dall’Inghilterra, prendendo Don Gonzalez dal Bournemouth.

A seguire, la società di gestione dello Stade de France di Parigi assunse Tony Stones, già al Barnsley e successivamente capo-giardiniere del nuovo stadio di Wembley, mentre il Paris Saint-Germain prendeva Jonathan Calderwood dall’Aston Villa (nel 2013) e la stessa FIFA conferiva l’incarico allo scozzese Alan Ferguson, già vincitore per 7 volte del premio “Giardiniere dell’anno” nel calcio inglese, su un totale di 12 stagioni all’Ipswich.

L’approccio e le conoscenze dei giardinieri britannici improvvisamente diventarono un modello da capire e sviluppare per tutti i club europei, con il Paris che per esempio dopo l’arrivo di Calderwood vide diminuire drasticamente gli infortuni causati dalle cattive condizioni del campo di gioco sia al Parc des Princes sia nel proprio centro d’allenamento.

La gestione dell’erba per i campi sportivi nel Regno Unito è oggi più che mai un settore in grande sviluppo, grazie anche a sport di prestigio e richiamo nazionale come il tennis e il golf che contribuiscono a trovare soluzioni a necessità sempre diverse: secondo le stime del 2021, il mondo “dell’erba” muove un giro d’affari di 1 miliardo di sterline e dà lavoro a quasi 30mila professionisti britannici suddivisi in aree di competenza estremamente specifiche, dagli esperti della semina fino agli scienziati che fanno ricerca sui nuovi metodi di crescita e colorazione.

Nel West Yorkshire c’è lo Sports Turf Research Institute, un istituto di ricerca dedicato allo studio di tutto quello che concerne la crescita, la cura e la gestione dell’erba e dei sottofondi, ma anche dei valori di rotolamento di una sfera in base all’altezza del taglio del prato o la percentuale di acqua che penetra nel terreno in relazione alla consistenza di sabbie e terricci.

In questo senso l’obiettivo è anche sostenibile. All’Emirates Stadium dell’Arsenal si stanno testando lampade LED per ovviare ai consumi di quelle tradizionali al sodio: c’è un bonus dal punto di vista dello spettro dei colori (ridotto e più efficace) ma anche un malus sul piano del calore (il LED non lo emette) che va quindi risolto con altri metodi in fase di studio. Intanto si cercano vie più “naturali” anche per difendere l’erba stessa dall’attacco dei parassiti (spesso Nematodi), per esempio con l’uso di aglio o di vaporizzazioni calde.

Il prato dell’Emirates è costantemente monitorato tramite una stazione meteorologica dedicata e sonde di temperatura e umidità che forniscono informazioni e dati costanti ai sistemi di irrigazione e riscaldamento del sottosuolo. Questo permette di irrigare solo quando è necessario, garantendo un risparmio idrico, e anche di usare meno fertilizzanti.

Il caso Wembley

In occasione degli Europei di calcio dell’estate 2021, la UEFA aveva assegnato un capo-giardiniere a ognuno degli 11 stadi ospitanti il torneo: due erano irlandesi, gli altri 9 dal Regno Unito.

E proprio in vista di Euro 2021, l’intero campo da gioco di Wembley è stato completamente ricostruito da zero su un periodo invernale di 14 settimane: 75mila km di fibre di erba sintetica sono stati inseriti nel sottofondo sabbioso, diventando la base rafforzata per il prato vero e proprio, composto dal 97% di erba naturale e dal 3% di erba artificiale.

Per la prima volta nella storia del calcio europeo è stata realizzata una trasformazione di queste proporzioni in un tempo così breve, con il team di giardinieri di Wembley impegnato su più turni h24, 7 giorni su 7 per le prime 4 settimane di lavoro, alle quali sono seguite 10 settimane di crescita del manto: l’intera operazione è stata svolta sotto l’illuminazione artificiale.

Proprio quei tralicci che a fine anni ‘90 erano considerati un’idea improbabile, sono ormai la normalità e anzi sono alla base dello sviluppo tecnologico e scientifico di un settore straordinario e affascinante come quello della cura e della gestione dell’erba nell’ambito dello sport professionistico.

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