La pista più veloce del mondo – I cento anni dell’Autodromo Nazionale di Monza

Amato dagli appassionati degli sport motoristici e visto con insofferenza dagli amanti più radicali del verde, l’autodromo che corre all’interno del parco recintato da mura più grande d’Europa compie quest’anno un secolo di vita.

Pubblicazione cartacea su: Tsport 346
autodromo nazionale di monza cento anni
Tabellone celebrativo posto quest’anno lungo la pista (foto BG / Tsport).

Fin dall’inizio la convivenza tra Autodromo e Parco mostrò una evidente conflittualità: sin dalla posa della prima pietra – nel febbraio 1922 – fu ordinata la sospensione dei lavori per motivi di “valore artistico, monumentale e di conservazione del paesaggio”.
A seguito delle polemiche insorte, si addivenne a un compromesso riducendo l’ampiezza prevista del circuito, che però entrava pur sempre ad alterare il disegno di un ambiente, agricolo e boschivo, ridisegnato oltre un secolo prima attraverso la creazione del Parco con le sue cascine e ville, gli ampi viali rettilinei alberati, il modellamento del terreno e l’adeguamento del sistema idrico con le acque del Lambro e delle rogge adiacenti. Senza dimenticare che negli stessi anni il Parco veniva ulteriormente alterato con l’inserimento del Golf (1928), in seguito ampliato, e dell’Ippodromo (1924), quest’ultimo chiuso nel 1976 e completamente scomparso dopo un incendio che nel ’90 distrusse le ultime vestigia delle tribune in legno.
A cento anni di distanza da allora, pur giudicando, con gli occhi di oggi, inopportuna la scelta di intaccare in modo invasivo il “Regio Parco”, appare ormai antistorico rifiutare l’insediamento consolidato del circuito – un’icona assoluta nel mondo – mentre è la stessa Direzione dell’Autodromo che oggi si attiva per la tutela e il miglioramento forestale dell’ambiente in cui esso è immerso.

In subordine, un se-condo motivo di di-scussione negli ultimi anni è relativo al mantenimento o alla demolizione dell’anello della cosiddetta sopraelevata: una testimonianza storica e ingegneristica di una fase ormai superata, o un ingombrante residuo cementizio che sottrae spazio al verde del parco? Opinioni divergenti, al netto dei costi ingenti sia per il mantenimento che per la sua demolizione.
Ecco dunque il punto a cento anni dall’apertura dell’Autodromo Nazionale di Monza.

La storia

L’esigenza di realizzare un Autodromo scaturiva dalla spinta delle case costruttrici nazionali che, con un impianto a disposizione per le competizioni motoristiche, avrebbero potuto sviluppare prove e sperimentazioni di ogni tipo.

La decisione fu presa dall’Automobile Club di Milano nel gennaio del 1922, che avrebbe celebrato il suo 25mo anniversario.
Per la realizzazione e la gestione dell’Autodromo fu costituita la Società Incremento Automobilismo e Sport (S.I.A.S.) a capitale interamente privato, presieduta dal senatore Silvio Crespi. Il progetto fu affidato all’architetto Alfredo Rosselli e prevedeva una pista di velocità e un anello stradale affiancati, con uno sviluppo complessivo di 14 chilometri, poi ridotti a 10 a seguito delle polemiche sull’impatto paesaggistico.
L’Autodromo Nazionale di Monza fu costruito nel tempo record di centodieci giorni e la pista fu percorsa nell’intero suo sviluppo per la prima volta il 28 luglio da Pietro Bordino e Felice Nazzaro a bordo di una Fiat 570.
Il circuito comprendeva una pista stradale di 5,5 km e un anello per l’alta velocità di 4,5 km, caratterizzato da due curve sopraelevate che consentivano una velocità massima teorica di 180/190 chilometri l’ora raccordate da due rettifili di 1070 metri ciascuno.
L’apertura ufficiale dell’impianto avvenne il 3 settembre 1922 in una giornata di pioggia, alla presenza del Presidente del Consiglio Facta.
Nel 1938 l’impianto fu modificato con il rifacimento del tracciato stradale e l’abbattimento delle soprelevate, oltre all’ampliamento dei settori per il pubblico. Il nuovo tracciato era lungo ora 6.300 metri.
A seguito dei danni conseguenti all’uso militare durante la guerra, un ripristino generale fu avviato nel 1948: il 17 ottobre l’Autodromo potè ospitare il Gran Premio di Formula 1.

Il 1955 è l’anno in cui si decise di ricostruire l’anello per l’alta velocità, con caratteristiche geometriche leggermente diverse rispetto al disegno del 1922: un tracciato che venne utilizzato solo fino al 1961 (ne parliamo in un’altra pagina).
Nei decenni successivi, l’aumento delle prestazioni delle vetture impose l’adozione di accorgimenti lungo tutto l’Autodromo Nazionale di Monza per ridurre la velocità all’entrata delle curve: nel 1972 furono realizzate due chicane, ulteriormente migliorate nel 1976 con l’adozione di varianti che portarono la lunghezza totale a 5.800 metri.
Negli anni ’80 gli ulteriori interventi sono stati finalizzati ad accrescere le condizioni di sicurezza, con l’allargamento delle banchine esterne, delle aree di fuga, il miglioramento dei cordoli e delle protezioni, ferma restando la lunghezza del tracciato.
Nel 1989-90 sono stati interamente rimodernati i box e le strutture accessorie.

Nel 1994-1995, nuovi adeguamenti agli standard di sicurezza dettati dalla FIA hanno portato al ridisegno delle due curve di Lesmo, della Curva Grande e della Variante della Roggia (vedi i dettagli nella doppia pagina seguente); lo sviluppo del tracciato si è così ridotto di 30 metri.
Altre modifiche sono state apportate nel 2000, in particolare sulla Prima Variante e sulla Curva della Roggia. La lunghezza totale oggi risulta di 5.793 metri.

Le curve

La Prima Variante o Variante del Rettifilo (curve 1-2-3)

Allo scopo di aumentare la selezione in gara, nel 1972 fu realizzata una chicane all’altezza della variante junior, per ridurre la velocità d’ingresso nella successiva Curva Biassono. Nel 1976, diventò una variante formata dalla successione di due curve a sinistra e due a destra, in modo da abbassare ulteriormente le velocità. Un’altra modifica si registrò nel 2000 quando fu ridisegnata con una secca curva a destra, che spezza il lungo rettilineo d’arrivo, per poi raccordarsi verso il tornante successivo.
La Prima Variante o Variante del Rettifilo si presenta quindi come una strettissima curva a destra di 90 gradi, seguita da una curva a gomito a sinistra altrettanto stretta. Dal rettilineo dei box si arriva lanciati a oltre 370 km/h e, con una lunghissima frenata, si decelera a soli 70-80 km/h per affrontare questa “esse”.

Curva Biassono (curva 4)

L’ampio raggio e la sua lunghezza le valsero in origine il nome di Curva Grande, ma nel 1972 fu ribattezzata Curva Biassono per la vicinanza col paese omonimo. È una lunga curva a destra dal raggio di circa 300 metri a cui si arriva in piena accelerazione dalla Prima Variante e si percorre in pieno con una buona dose di coraggio.

Seconda Variante o Variante della Roggia (curve 5-6)

Nata come Curva della Roggia, per via di un piccolo corso d’acqua che scorreva nelle vicinanze, vide modificato il suo disegno nel 1976, per ridurre le medie sempre più elevate. Diventò così la Seconda Variante o Variante della Roggia. Anch’essa è posta in fondo a un lungo rettilineo (oltre 1 km con l’acceleratore a fondo, compresa la curva Biassono) sul quale si toccano i 335 km/h. Con una lunghissima frenata, si decelera a 110-120 km/h per affrontare una “esse” sinistra-destra molto stretta, modificata nel 2000.

Curve di Lesmo (curve 7-8)

Circondata dal bosco, la prima curva di Lesmo si colloca in prossimità del paese omonimo. Posta a soli 200 metri dall’uscita della Seconda Variante, vi si arriva a velocità non troppo elevate ed è una curva a destra di 75 metri di raggio che si percorre a circa 180 km/h.
Posta a 200 metri dalla Prima Curva di Lesmo, anche la Seconda Curva di Lesmo è situata tra la folta vegetazione. In passato, era uno dei punti mitici del circuito: vi si arrivava in piena accelerazione e si entrava in curva a quasi 300 km/h. Solo i migliori piloti riuscivano a percorrerla in pieno. Con le modifiche del 1994-95 è stata molto rallentata e oggi ha solo 35 metri di raggio e si percorre a circa 160 km/h.

Curva del Serraglio (curva 9)

Il nome della curva deriva dalla presenza nelle immediate vicinanze del Serraglio, casa di caccia del Re, dove erano tenuti anche degli animali. È una lievissima piega a sinistra dal raggio estremamente ampio di oltre 600 metri.
Il rettilineo successivo incrocia, con un sottopassaggio, la curva Sopraelevata Nord dell’anello di alta velocità.

Variante Ascari (curve 10-11-12)

In origine si chiamava Curva del Vialone, perché passava sopra il grande viale di accesso all’Autodromo Nazionale di Monza. Dal 1955 cambia nome e viene dedicata ad Alberto Ascari, che perse la vita in quel punto. Per rallentare le alte velocità, nel 1972 fu realizzata nel punto d’entrata una chicane che due anni più tardi venne ulteriormente modificata nell’ampiezza e nel tratto d’uscita, assumendo così il nome definitivo di variante. Vi si arriva tenendo premuto l’acceleratore fin dalla Seconda di Lesmo e anche qui si toccano i 330 km/h. Dopo la frenata, si affrontano in rapida successione tre curve a sinistra-destra-sinistra, che immettono sul rettilineo opposto ai box. Sono curve a raggio abbastanza ampio che si percorrono a velocità intorno ai 200 km/h.

Curva Alboreto o Parabolica (curva 13)

In origine si trattava di due tornanti caratterizzati da un raggio di 60 metri e da un’ampiezza di 90°, uniti da un brevissimo rettifilo. Vista la particolarità dalla pavimentazione, formata da tanti cubetti di porfido, divenne famosa per essere la Curva del Porfido. Ricostruita nel 1955, quando il tracciato tornò alla sua impostazione originaria, fu chiamata Curva Parabolica per il disegno e la traiettoria che descriveva.
Nel rettilineo che conduce a questa curva si toccano nuovamente i 330 km/h, quindi si frena per entrare in curva a circa 180 km/h. La curva è molto lunga e a raggio via via crescente: dopo aver superato la parte più stretta si può percorrere il tratto finale in piena accelerazione, scorrendo verso l’esterno e imboccando il rettilineo d’arrivo a velocità già molto elevate.

La sopraelevata

I lavori intrapresi nel 1955 miravano a trasformare l’intero impianto dell’Autodromo Nazionale di Monza riprendendo l’idea originaria del 1922 con un circuito di 10 km complessivi, costituito da un settore stradale e uno ad alta velocità adatto alla ricerca di nuovi record di velocità, da raggiungere limitando l’uso dei freni e dei cambi di marcia.

Fu quindi realizzato un anello con due curve sopraelevate, raccordato alla pista stradale, non perfettamente coincidente con quello, demolito, del primo progetto.
Riguardo al tracciato stradale vennero accorciati il rettifilo centrale e quello delle tribune, raccordati con quella che sarà la “parabolica”, una curva a falda unica e una leggera inclinazione trasversale, con raggio crescente verso l’uscita. La pista stradale risultava lunga 5.750 metri.
L’anello per l’alta velocità, con una lunghezza complessiva di 4.250 metri, progettato dagli ingegneri Antonio Beri e Aldo Di Renzo, venne costruito su strutture portanti in cemento armato anziché su terrapieno. Le due curve sopraelevate, unite da due rettilinei di 875 metri ciascuno, hanno un raggio di 318,20 (curva nord) e 312,32 metri (curva sud), e una pendenza trasversale progressiva fino all’80%: la velocità massima teoricamente raggiungibile era di circa 285 km/h.
Come è ancora rilevabile sul posto, la curva nord si innalza fino a 6 metri rispetto al piano di campagna, mentre la curva sud è parzialmente incassata per 3,20 m.
Il circuito rinnovato con la pista per l’alta velocità venne utilizzato per i GP d’Italia solo negli anni ’55, ’56. ’60 e ’61. Relativamente al solo anello della sopraelevata, vi si disputò la 500 Miglia di Monza nel 1957-58, e fu utilizzato per diversi tentativi di record, automobilistici e motociclistici.
L’esperienza non fu positiva in particolare per le vetture di Formula 1: con l’evoluzione dei telai monoscocca ultraleggeri le sollecitazioni imposte dalle curve sopraelevate risultavano inconciliabili, e dopo il 1961 il tracciato venne abbandonato.

Il dibattito tra chi vorrebbe conservare la testimonianza di “archeologia ingegneristica”, sia pure per una costruzione che non ha avuto un esito felice quanto a funzionalità, e chi vorrebbe venisse demolita per recuperare spazio al verde del parco, ha portato per adesso a un parziale intervento di restauro delle strutture, che sono comunque utilizzate come piste ciclabili “sui generis” e oggetto di curiosità.

La sicurezza

La sicurezza sui circuiti di Formula 1 è un parametro fondamentale che ha subìto nel tempo una costante evoluzione e che necessita tutt’oggi di nuovi ulteriori approfondimenti.
Durante il GP d’Italia del 2020 le due Ferrari hanno dato spettacolo infrangendosi contro gli ostacoli della pista: quella guidata da Sebastian Vettel, priva di impianto frenante, ha frantumato – senza conseguenze – i pannelli in polistirolo posti a difesa della chicane alla Prima Variante; quella di Charles Leclerc ha perso aderenza alla Parabolica schiantandosi contro la barriera laterale costituita da tre file di pneumatici.

Laddove l’angolo di impatto stimato è ridotto, è preferibile avere una barriera verticale, liscia e continua; ma se l’angolo è grande occorre usare dispositivi di dissipazione dell’energia e/o barriere di arresto, oltre a un’area di fuga e di decelerazione.
È il caso della Parabolica, dove l’esterno dalla curva presenta un’ampia superficie in ghiaia, che dovrebbe favorire la rapida decelerazione (preceduta però da una fascia di asfalto), mentre la barriera (ad esclusione del primo tratto) è costituita da 3 file di pneumatici, avvolti da un telo (conveyor belt) e anteposti al triplice guard-rail metallico che circonda tutto il tracciato dell’Autodromo Nazionale di Monza.
Il muro di pneumatici è il sistema oggi più adottato sui circuiti internazionali. Le gomme, tutte dello stesso diametro, sono impilate e imbullonate tra loro per evitare che all’impatto si disperdano riducendo l’efficacia di assorbimento del colpo. In genere le pile sono costituite da 6 pneumatici sovrapposti, e devono avere un’altezza totale di almeno un metro. Il muro, in più file (la FIA ne prevede da una a 6), deve essere a sua volta ancorato al triplo guard-rail, alto anch’esso almeno un metro.
Dal 2018 ha ottenuto l’omologazione FIA una nuova barriera tecnologica, la Tecpro (realizzata a Hong Kong), costituita da un blocco con funzione di assorbimento dell’impatto e uno di rinforzo.

Alti 120 cm e larghi 59, i moduli rinforzati, della lunghezza di 150 cm, pesano 110 kg, e vengono disposti a barriera; i moduli di assorbimento, delle stesse dimensioni, pesano 45 kg e sono messi trasversalmente ai primi.
Riempiti con schiuma a densità modulabile, rinforzati da un doppio foglio di lamiera e collegati tra loro da tre imbragature, i blocchi hanno un potere di assorbimento molto elevato ma con il vantaggio di una estrema semplicità nella realizzazione e nella ricostruzione a seguito di un incidente. Durante i test effettuati in collaborazione con la FIA e l’ufficio tecnico indipendente Dekra, le barriere Tecpro F1 sono state in grado di assorbire un impatto frontale fino a 218 km/h.
Nell’Autodromo Nazionale di Monza le barriere Tecpro sono state installate davanti alle file di pneumatici alla Variante della Roggia, all’uscita della seconda curva di Lesmo, alla Ascari e nel primo tratto della Parabolica; i moduli rinforzati sono grigi, quelli assorbenti rossi.

Le vie di fuga

Come abbiamo visto, in corrispondenza delle curve la pista è allargata con superfici prima in asfalto e poi in ghiaia allo scopo di rallentare gradualmente la velocità prima che la vettura impatti con le barriere. Nei circuiti internazionali più recenti (non qui a Monza) la superficie in asfalto delle vie di fuga viene trattata con speciali vernici colorate che aumentano il grip contribuendo alla decelerazione.
I bordi interni delle curve, invece, sono contrassegnati dai cordoli (kerbs), che i piloti sfruttano per tagliare ulteriormente la traiettoria, pur scontando una riduzione dell’aderenza. Sono elementi che contribuiscono al sistema di sicurezza della pista, delimitandone con colori vistosi il bordo, e con la loro sagoma e le relative sollecitazioni indotte portano a rallentare la velocità.

All’Autodromo Nazionale di Monza in uscita delle curve è adottato un cordolo scanalato in negativo con un dislivello di 25 o 50 mm, affiancato eventualmente da una fascia di erba sintetica (uscita delle Curve di Lesmo, della Variante Ascari e della Parabolica).

L’Autodromo e il parco

La crescente sensibilità nei confronti dell’ambiente e l’inserimento del Parco di Monza -Autodromo compreso – nel perimetro del Parco Regionale della Valle del Lambro stanno portando negli ultimi anni alla realizzazione di progetti di intervento straordinario per la riqualificazione del Parco e delle strutture, ed in particolare delle aree boscate.
Nel dicembre scorso, Regione Lombardia ha assegnato un finanziamento di 160.000 euro, attraverso un bando della Direzione Generale Agricoltura e Sistemi Verdi, a un ampio progetto di miglioramento forestale quinquennale varato proprio dall’Autodromo Nazionale di Monza.

Obiettivi, Il miglioramento della composizione e della ricchezza floristica dei boschi e la loro valorizzazione da un punto di vista ecosistemico.
Il progetto riguarda le aree boscate in concessione al circuito e prevede la piantumazione di quasi 6.000 nuovi alberi appartenenti alla flora autoctona.

Il programma ha avuto il parere favorevole del Parco Regionale della Valle del Lambro e dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio.
Un primo livello di lavoro interessa un’area di quasi 12 ettari in prossimità della curva Biassono, colpita di recente da un eccezionale evento atmosferico, dove le piante esotiche invasive tendono a prendere il sopravvento su quelle autoctone. Vi saranno pertanto effettuati dei tagli selettivi sulle piante infestanti e sugli esemplari morti o pericolanti. Le attività non riguarderanno le zone più lontane dalla fruizione del pubblico, per tutelare i rifugi e l’habitat della fauna locale. Saranno quindi messe a dimora 2.610 giovani piantine di rovere, farnia, carpino bianco e altre specie ecologicamente coerenti. I nuovi impianti verranno curati per cinque anni con irrigazioni di soccorso e decespugliamenti fino alla loro completa affermazione.

Il secondo intervento (per un importo di 107.646 euro) ha invece lo scopo di migliorare la composizione e la ricchezza floristica del bosco, perseguendo anche la valorizzazione dell’estetica e della fruibilità dei luoghi. La superficie interessata, pari a 54,3 ettari, è distribuita principalmente tra le curve di Lesmo, Ascari, la Sopraelevata nord e la Alboreto. Nelle zone individuate sono in corso di piantumazione 3.000 nuovi alberi autoctoni tra cui olmi, frassini e aceri. Anche per questi lotti, una volta ripuliti dalle piante morte, deperienti o invasive, si garantirà un monitoraggio dei nuovi innesti per un quinquennio. Il progetto esecutivo è dei dottori forestali Nicola Galinaro e Flora Simonelli.