La nostra lettura storica inquadra il centro sportivo, nato alla fine dagli anni cinquanta, nel clima urbanistico e architettonico del novecento.
Il complesso sportivo Rivetti nella Biella industriale del ‘900
Cartolina degli anni ’60 con la vista del parco e degli impianti del Centro Rivetti.
Fra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, l’industria laniera aveva favorito la crescita di Biella a partire dai suoi due nuclei fondativi: Piazzo, in cima al colle, e Piano, sulla sponda destra del T. Cervo. Quest’ultimo in particolare, per la più idonea situazione, si espanse con larghezza, compromettendo in parte anche la sua originaria struttura medievale, grazie a uno schema regolatore a maglia ortogonale e ampi isolati, destinati a edifici civili e equipaggiamenti pubblici. Un’ideale palestra d’esercizio per architetti noti e meno noti, le cui opere, formano, a vederla oggi, un distinto repertorio di architettura del Novecento.
Fra queste opere spicca il complesso natatorio Rivetti, progettato nel 1957 dall’ingegnere milanese Carlo Ravizza su incarico dell’industriale biellese Guido Alberto Rivetti per onorare la memoria del figlio deceduto in un incidente automobilistico. Il Rivetti fu figura poliedrica nell’ambiente biellese: a lungo presidente della locale sezione del Club alpino italiano e fondatore dello Sci-club Biella. Le Pettinature Rivetti furono, per inciso, uno dei maggiori complessi industriali cittadini i cui comparti furono progettati sul finire degli anni Trenta dal celebre architetto Giuseppe Pagano.
Complesso natatorio dunque, e non solo una semplice piscina, ma un impianto di quasi 15 mila mq con palestra, piscina coperta e scoperta, bar, cabine, centro di ginnastica correttiva, vasche per il bagno e tribune. Doveva essere il cuore di una ‘cittadella dello sport’, promossa dal Comune di Biella cui faceva parte anche il dirimpettaio stadio Vittorio Pozzo, già Lamarmora, realizzato nel 1935. Giudicato ai tempi modernissimo, il complesso natatorio si qualificava per le ampie vetrate e per il disinvolto uso delle superfici colorate – segno caratteristico del progettista che replicò anche nell’hinterland milanese, presso Melzo, nello stabilimento dei magnetofoni Marelli – e dal futurista disegno del trampolino all’aperto sostenuto da prismi variamente inclinati, in cemento armato. Negli anni successivi, alcune ristrutturazioni hanno alterato il disegno originario dell’impianto.
Nella gallery, altre cartoline d’epoca con le vasche esterne del Centro Rivetti e il trampolino futurista.
Bibliografia:
Identità di pietra / Architettura del ‘900 a Biella – Catalogo e mostra a cura di Paola Bacchi, Gian Luca Bazzan, Mario Zenoglio, 2011.