C’è ancora spazio per l’atletica negli stadi?

Speciale #35 – Superfici per l’atletica – Argomenti.

Pubblicazione cartacea su: Tsport 351
Berlino, Olympiastadion (Google Earth).

Sempre più spesso, all’interno del dibattito italiano relativo allo sport e ai suoi luoghi, si percepisce un approccio contraddittorio rispetto all’atletica e al futuro che può avere negli stadi del Paese. Da un lato si tende a rilanciare a cadenze regolari (tendenzialmente corrispondenti al ciclo quadrienalle olimpico) la necessità di trovare e realizzare nuovi impianti, che possano ospitare gli allenamenti delle varie Federazioni dando continuità al lavoro dei piccoli centri e allo sforzo degli atleti.

All’opposto, però, e molto più di frequente, si tende a relegare l’atletica a un ruolo da comparsa, a favore invece del calcio come unico protagonista del più volte auspicato “rinnovamento degli stadi italiani”.

Il tema è particolarmente sentito e dibattuto all’interno dei nostri confini in relazione all’ampio patrimonio di impianti sportivi con pista presenti sul territorio, e al suo stato attuale sia di utilizzo che di condizioni strutturali. I toni spesso accesi vanno però contestualizzati all’interno di un flusso mediatico sportivo/generalista che si potrebbe definire “calcio-centrico”, e che ha sempre puntato a elevare le necessità del calcio come prioritarie rispetto a qualunque altro sport praticato nel Paese.

Questa sorta di rigetto popolare nei confronti dell’atletica ha probabilmente origine nell’eredità negativa lasciata dai Mondiali di calcio di Italia ‘90, quando 8 stadi su 12 si presentarono con la pista (a cui andrebbe aggiunto il Franchi di Firenze che subì un intervento piuttosto invasivo sul primo livello di gradinata, proprio per “nascondere” parzialmente l’anello delle corse), risultata poi inutile per quasi tutti e anzi decisamente penalizzante in qualche caso specifico – il Delle Alpi o il San Nicola, per citare due esempi, peraltro costruiti ex-novo espressamente per quel torneo.

Al di là delle dinamiche intrinseche alla candidatura e all’organizzazione di quei Mondiali – e senza chiamare in causa le questioni dei fondi del CONI, le agevolazioni economiche per l’inserimento delle piste d’atletica nei nuovi impianti e le ipotesi di utilizzo successivo presunte all’epoca – nel pubblico italiano e nei tifosi è rimasta la percezione che gli stadi con la pista siano il simbolo di edifici dispersivi, inadatti a seguire un evento sportivo e in ogni caso ormai fuori tempo.

In effetti, dagli anni Novanta in poi il calcio contemporaneo ha preso una strada molto diversa da quella dell’atletica, sia per business che per mediaticità, e sembra che questi due sport non possano più coesistere all’interno di uno stadio come avevano fatto invece per tutto il Novecento.

Perché ci sono sempre più dubbi sugli stadi con pista?

A riguardo possiamo individuare due macro-ragioni principali: una gestionale e una funzionale.

Nel calcio attuale (che in certi Paesi europei può essere abbinato anche al rugby, co-inquilino dello stesso stadio) la strada intrapresa è spesso quella degli impianti gestiti direttamente dai club. Una soluzione pratica, che garantisce ricavi economici diretti alle società e permette un utilizzo e una cura dell’edificio certamente migliore rispetto a ciò che le municipalità potrebbero garantire.

Questo ovviamente si scontra con la presenza dell’atletica, con i suoi spazi, con le sue necessità e con la forma stessa dell’ovale che influenza il design dell’impianto.

Qui si collega la questione funzionale, che chiama in causa problematiche anche relative al design architettonico come la visuale dagli spalti verso il campo, e include richieste sempre più precise del pubblico e dei media in questo senso. Uno stadio con pista d’atletica, per sua stessa natura, allontana il campo dalle gradinate e il calcolo della visuale (con la ricerca del c-value ottimale) ne risente in modo determinante, con il risultato che l’esperienza stessa dello spettatore viene penalizzata.

Questo diventa il punto determinante al centro di molti progetti sia ex-novo che di possibile restyling dell’esistente, e che ci mette di fronte a un ripensamento dei luoghi dell’atletica, probabilmente da suddividere fra i grandi tornei internazionali da un lato e l’attività sportiva capillare e locale dall’altro.

È infatti molto raro ormai vedere nel calcio europeo progetti di nuovi stadi di capienza medio-grande che contemplino la pista d’atletica e anzi, è più frequente assistere a tentativi di modificare stadi esistenti a pianta ovale, eredità degli anni ‘30 o ‘50 del Novecento, adeguati al contemporaneo con interventi di varia natura, demolizione/ricostruzione o modifica di ampie parti della struttura.

Le difficoltà pratiche dei restyling

La frequenza annuale dei grandi eventi internazionali di atletica – che siano i meeting annuali o gli Europei, i Mondiali e addirittura le Olimpiadi a cadenze ancor più diluite – non consiglia l’aggiunta della pista nello stadio di un club di calcio di medio-alto livello. Piuttosto si cerca di metter mano a stadi già esistenti, eliminando l’anello di tartan e provando ad avvicinare le gradinate al rettangolo di gioco: abbassare la quota del campo e prolungare così il pendìo delle gradinate sulla parte di pista da coprire è spesso la soluzione più ovvia (si vedano due esempi come l’intervento sullo Stadio Olimpico di Torino post-2006 e il recente intervento sul Monumental di Buenos Aires)

Questa soluzione ha però uno sviluppo limitato in termini di dimensioni.

Non si può interrare il campo all’infinito e non si può allungare il primo anello di tribune all’infinito perché si genererebbe l’effetto contrario. Le file di posti nella parte superiore della cavea risulterebbero a quel punto troppo lontane e il loro angolo di visuale progettato originariamente diventerebbe invece “sbagliato” in relazione alla posizione del nuovo terreno di gioco.

Altre possibilità ci parlano di interventi molto più invasivi, come la ricostruzione integrale di entrambe le curve allo stadio Anoeta di San Sebastian, in Spagna (Real Sociedad) (Tsport 330), o di tre lati su quattro come all’ex Friuli ora Dacia Arena di Udine.

Senza scomodare i tanti casi francesi dove il passato degli stadi-velodromi ha portato alla ricostruzione completa e/o graduale di molti impianti (Marsiglia, Lens, Parc des Princes a Parigi) o al loro accantonamento (Bordeauxvedi Tsport 349 -, Lione), lo Stade de France di Saint-Denis regge ancora sul compromesso delle gradinate retrattili che possono svelare (o coprire) la pista d’atletica a seconda delle necessità – soluzione simile ma non automatizzata che troviamo al London Stadium ex Olimpico, stadio che ha dovuto reinventarsi per il calcio dopo i Giochi di Londra 2012, e con molta fatica!

Nel 2017, a Berlino, si era aperto il dibattito sulla possibilità di convertire l’Olympiastadion in impianto solo per il calcio (e per l’Hertha, squadra di casa). Un’ipotesi subito rigettata perché avrebbe “cancellato qualunque possibilità futura per la città di ospitare le Olimpiadi e di essere una delle sedi principali dell’atletica a livello internazionale”.

Atletica e calcio, un futuro sul territorio

Probabilmente l’esperienza del Bayern Monaco, che nel 2005 aveva lasciato le vele in acciaio e membrana traslucida dell’OlympiaPark per approdare alla nuovissima Allianz Arena, aveva fatto gola a qualcuno nella capitale tedesca ma è certo che almeno un grande stadio di atletica in ogni grande città europea ha ancora futuro.

Allora, tornando al panorama italiano, viene da volgere lo sguardo alle città medio-piccole, al tessuto impiantistico sportivo locale, che potrebbe svolgere un ruolo di sviluppo e pratica dello sport anche attraverso stadi ibridi che troverebbero più senso di esistere e maggiore frequenza di utilizzo.

D’altronde, uno degli impianti più criticati in Italia, l’ex San Paolo oggi Stadio Maradona di Napoli, è in realtà un edificio polisportivo, aperto alla pratica settimanale dell’atletica per le associazioni e per le scuole (v. Tsport 328).

Allora se l’atletica ha un futuro di coesistenza con il calcio, questo può realizzarsi negli impianti sportivi di provincia, dove il calcio del semi-professionismo o del dilettantismo può essere messo in connessione con le associazioni sportive del territorio integrandosi con un lavoro propositivo delle municipalità: ne abbiamo parlato anche recentemente con le belle riqualificazioni di Trevignano (Tsport 349), Belluno (Tsport 348) e Foligno (Tsport 340).

Il rinnovamento degli impianti sportivi italiani passa anche e soprattutto dal territorio. L’atletica forse non potrà più coesistere con il calcio in modo naturale come nel Novecento, ma è ancora una risorsa e può diventare un’opportunità per sviluppare e promuovere la pratica sportiva fra i cittadini con progetti di vero rilancio e che abbiano una visione a lungo termine.

Referenze fotografiche: CC = Wikipedia (licenza Creative Commons); S. = Shutterstock; Tsport = vedi i rispettivi articoli.