La crisi climatica: mitigazione e adattamento

Speciale Progettazione Sostenibile – 3. Mitigazione e adattamento sono due modalità di rapportarsi al cambiamento del clima nella pratica quotidiana della pianificazione territoriale e della progettazione, realizzazione e gestione di qualunque manufatto edilizio. Per capire cosa fare è necessario conoscere gli esatti connotati del problema.

Parco Nazionale della Death Valley, California (foto Angel DiBilio/Shutterstock).

Lo scorso marzo l’IPCC (leggi in fondo all’articolo) ha rilasciato l’ultimo report sul riscaldamento globale; negli stessi mesi l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) ha pubblicato il resoconto sullo Stato del Clima in Europa per il 2022, corredato da una ricchissima bibliografia e sitografia. In entrambi i rapporti è evidente la conferma del trend di riscaldamento globale nonché l’aumento dei fenomeni meteorologici “estremi”.
Ma facciamo un passo indietro.
Negli anni ’60, quando i più anziani di noi andavano a scuola, i libri di testo riportavano, come fatti certi e assoluti, che la temperatura media sulla superficie terrestre era di 15°C e che l’aria era composta per lo 0,03% di anidride carbonica.
Se l’uomo nel secolo scorso ha avuto la presunzione di vivere in un ambiente dalle caratteristiche climatiche fisse e costanti, negli ultimi 40 anni si è dovuto ricredere, e adesso che la temperatura media supera i 16 gradi e l’anidride carbonica ha aumentato del 30% la sua presenza in atmosfera, vorrebbe correre ai ripari.
Di fronte alle variazioni del clima, in ogni caso, due sono le strade che possono essere intraprese: quella della mitigazione del fenomeno (a condizione che se ne conoscano le cause e che si possa intervenire su queste) e quella dell’adattamento, ossia prendere provvedimenti che ne fronteggino le conseguenze, fintanto che il fenomeno persiste.
Occorre però capire di fronte a quali fenomeni ci troviamo e a quale scala.

Schema del bilancio radiativo Sole/Terra: i dati tra parentesi sono le variazioni riscontrate in 10 anni (fonte Nasa/eos – pubblico dominio).

Riscaldamento globale e isola di calore urbana: due problemi del tutto differenti

Un dato oggettivo – in quanto direttamente misurato da qualunque termometro – è l’aumento complessivo della temperatura dell’atmosfera, a ogni latitudine e in qualunque area del globo. Un aumento apparentemente minimo (poco più di 1 grado in media), che però si riflette sensibilmente su tutto l’ecosistema; e nella quotidianità questa media nasce da una maggior frequenza di episodi con temperature più alte anche di molti gradi rispetto a un minor numero di giornate più fresche.
Questi i dati oggettivi. L’analisi scientifica oggi prevalente (quella divulgata dall’IPCC) attraverso interpolazioni e correlazioni di dati deduce che il riscaldamento atmosferico in atto sia dovuto all’aumento (anch’esso oggettivamente rilevato) della percentuale di anidride carbonica nell’atmosfera; e che questo aumento, a sua volta, sia dovuto al consumo di combustibili fossili da parte dell’uomo.

(fonte: GISTEMP Team, 2023: GISS Surface Temperature Analysis (GISTEMP), version 4. NASA Goddard Institute for Space Studies. Dataset accessed 2023-08-08 at https://data.giss.nasa.gov/gistemp/).


Benché ci sia una parte (poco ascoltata) del mondo scientifico che vorrebbe mettere in discussione queste correlazioni, diamo per ammessa la spiegazione prevalente. Ne consegue che per frenare il riscaldamento globale dovrebbe l’uomo smettere di consumare combustibili fossili. Senza entrare nel merito della fattibilità e dei tempi in cui questo processo potrebbe avvenire, è evidente che in questo caso la mitigazione del fenomeno è compito che spetta alla società in senso globale e non è alla nostra portata né alla nostra scala, se non contribuendo nel nostro piccolo al miglior uso delle risorse ambientali, come ci insegnano i vari protocolli di cui abbiamo parlato in altra parte dello Speciale.
È quanto mai opportuno e doveroso, invece, nell’attesa (certo ultradecennale) che si mitighi il riscaldamento globale, trovare le migliori modalità di adattamento ad un fenomeno oggettivamente presente e manifesto, parametrando le caratteristiche dei nostri progetti a un clima complessivamente più caldo (quindi con sistemi naturali ed efficienti di termoregolazione degli edifici, uso di specie vegetali adatte al nuovo clima, e quant’altro la storia dell’architettura già ci insegna).
Veniamo invece al fenomeno dell’isola di calore urbana, esplicitamente richiamato anche nei CAM ministeriali.
Va subito chiarito che questo non ha assolutamente nulla a che vedere con il riscaldamento globale: è un fenomeno che esisteva – se vogliamo – fin da quando gli antichi romani hanno cominciato a selciare le strade con lastre di pietra.

La temperatura superficiale della città di Milano rilevata da satellite il 18 giugno 2022 (foto NASA/JPL-CALTECH).


Come necessaria premessa, ricordiamo che la radiazione solare giunge sulla terra con un’ampia gamma di lunghezze d’onda (dall’ultravioletto al visibile all’infrarosso). Tuttavia nessuna di queste è in grado di riscaldare direttamente l’atmosfera. Le superfici colpite dal sole, invece, in funzione delle loro caratteristiche, possono riemettere la radiazione ricevuta sotto forma di energia termica (onde lunghe).
I materiali che ricoprono la superficie terrestre (acqua, terreno naturale, pavimentazioni artificiali, tetti) sono quindi responsabili della temperatura degli strati d’aria in contatto con essi. E lo sono in funzione di due comportamenti caratteristici: la capacità di riflettere immediatamente l’energia solare ricevuta e quella di riemetterla successivamente sotto forma di energia termica. I due parametri vengono oggi matematicamente interrelati determinando per ciascun materiale l’Indice di Riflettanza Solare (SRI), cui si richiamano i protocolli per le certificazioni di sostenibilità ambientale.

Andamento della temperatura nell’arco di 48 ore in tre località del milanese: una urbana e due extraurbane (fonte: Centro Meteo Lombardo).


Poiché le superfici artificiali hanno una capacità di immagazzinare calore molto superiore rispetto alle superfici naturali – vegetali in particolare – ne consegue un maggior riscaldamento dell’atmosfera, nei bassi strati, in corrispondenza delle aree urbanizzate. L’effetto è limitato al cosiddetto “boundary layer”, lo strato-limite al di sopra del quale scorre la libera atmosfera che non rimane influenzata dall’aria sottostante.
Sotto il sole meridiano la differenza immediata di temperatura tra aree urbane ed extraurbane non sempre è elevata: appena il sole declina, però, le superfici coperte di vegetazione disperdono immediatamente il calore ricevuto mentre quelle pavimentate continuano ad emettere lentamente energia termica, determinando in breve dopo il tramonto differenze di temperatura di parecchi gradi fra città e campagna.
Con tutta evidenza, quindi, il fenomeno dell’isola di calore urbana è immediatamente affrontabile attraverso la sua mitigazione, adottando quanto più possibile superfici erbose o materiali di rivestimento e coperture con elevato indice SRI. Il risultato in termini di microclima sarà istantaneo.

Siccità e alluvioni: che fare

Aree a pericolosità idraulica media (ISPRA, 2017).

Con le piogge che sono cominciate a cadere a metà aprile siamo usciti da un anno e mezzo di conclamata siccità (ne abbiamo parlato sul numero dedicato ai campi in erba). Subito dopo però si sono verificati eventi alluvionali e, in estate, una serie di temporali con eccezionali raffiche di downburst e grandine di dimensioni inusitate.
Tutti questi eventi non sono di per sé eccezionali, mentre fuori della norma è semmai la frequenza con cui si stanno verificando.
La correlazione tra il riscaldamento globale e la frequenza di fenomeni eccezionali è un’ipotesi (data la maggiore energia in gioco) ma non è al momento scientificamente verificata. Occorre anche non farsi abbagliare dal numero di eventi che fanno notizia e dall’entità dei danni: quelli che ieri si verificavano in aree poco abitate oggi incontrano sempre più manufatti o veicoli da danneggiare e sono documentate da migliaia di video amatoriali realizzati col telefonino laddove una volta sfuggivano a ogni testimonianza.
Fatto sta che anche nei confronti di questi eventi, gli atteggiamenti da tenere sono due: quello dell’adattamento ai fenomeni (che non possiamo modificare) e della mitigazione dei danni (che possiamo prevenire o ridurre).

Monza, Villa Reale: quercia secolare stroncata durante i nubifragi del luglio 2023 (foto BG/Tsport).


Le zone alluvionabili sono note da tempo; se l’evento meteorologico eccezionale può verificarsi ovunque, la prevenzione consiste nella corretta pianificazione del territorio, e contemporaneamente nella predisposizione di opere che limitino i dissesti e regimino le acque (se ne parla almeno dall’alluvione di Firenze del 1966).
Alla scala del singolo progetto si tratta di tenere conto di tutti i rischi: allagamenti, venti eccezionali, grandinate, adeguandovi i parametri costruttivi. Non dimenticando il carico di neve, poiché dando troppa corda al tema del riscaldamento globale si rischia di dimenticare l’eventualità di eccezioni di segno opposto.


Che cos’è l’IPCC

Il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) è l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa della valutazione scientifica dei cambiamenti climatici. È stato istituito dal Programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) e dall’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) nel 1988 per fornire ai leader politici valutazioni scientifiche periodiche sui cambiamenti climatici. L’IPCC conta 195 Stati membri che fanno parte delle Nazioni Unite o dell’OMM.
Migliaia di persone da tutto il mondo contribuiscono al lavoro dell’IPCC. Per i rapporti di valutazione, gli esperti si offrono volontariamente come autori dell’IPCC per valutare le migliaia di documenti scientifici pubblicati ogni anno, al fine di fornire una sintesi esaustiva di ciò che si sa sulle cause del cambiamento climatico, sui suoi impatti e sui rischi futuri, e su come l’adattamento e la mitigazione possano ridurre tali rischi. Una revisione aperta e trasparente da parte di esperti e governi membri è una parte essenziale del processo dell’IPCC per garantire una valutazione obiettiva e completa e per riflettere una gamma diversificata di opinioni e competenze.

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