Venezia 2023: dall’architettura all’arte, il clima in prima linea

Speciale Progettazione Sostenibile – 4. Un commento alle mostre della Biennale Architettura (The Laboratory of the Future) e della Fondazione Prada (Everybody talks about the weather), entrambe aperte fino al 26 novembre.

(foto Jacopo Salvi)

La 18ma Biennale di Architettura, aperta nelle consuete sedi veneziane fino al 26 novembre, (titolo generale “The laboratory of the Future“), si propone con temi di largo impatto, primo dei quali la “sostenibilità”: tanto che la Biennale stessa come struttura si dichiara in prima linea, attraverso l’allestimento e tutte le attività connesse, nel contrasto al cambiamento climatico e la riduzione dell’impronta ecologica.

Così si vorrebbe dei partecipanti nelle svariate sezioni e sottosezioni visitabili tra Giardini e Arsenale. In particolare la curatrice, Lesley Lokko (immagine a sinistra, ph. Andrea Avezzù), ha voluto allargare lo sguardo al di fuori della “cultura occidentale” dando largo spazio alle istanze e ai racconti di quello che una volta chiamavamo “terzo mondo”. Con il risultato, però, che ha prevalso quasi il desiderio di riscatto da parte dei paesi emergenti invece di una propositività concreta nei riguardi del futuro.

Certo non è più la Biennale di una volta in cui si potevano vedere accostate proposte – magari utopiche, ma ben leggibili – di architettura e di urbanistica: oggi si parla per allusioni e spesso il visitatore crede di essere capitato nella Biennale Arte, quella degli anni pari. In certi padiglioni si entra trovando un ambiente simile a quello dell’anno scorso.

I pochi gruppi di architetti che propongono progetti (con piante, sezioni, modelli in scala…) sembrano appartenere a un’epoca remota. Lo sono ad esempio gli spagnoli Flores & Prats con “Emotional heritage”, o i BDR bureau and carton123 architecten con “Broader Boundaries”, entrambi nella sezione “Dangerous Liaisons”.

A sinistra, Flores & Prats Architects: “Emotional Heritage”; a destra, BDR bureau and carton123 architecten: “Broader Boundaries”. Entrambe, ph. Andrea Avezzù / Courtesy La Biennale di Venezia.

Così, se ingenuamente cercavamo magari qualche riferimento all’uso degli spazi per lo sport e il tempo libero, nostro tema di elezione, ci dobbiamo accontentare di allusioni e provocazioni, come quelle degli Orizzontale con “Sexy Assemblage” o del padiglione Messicano (“Utopian Infrastructure: The Campesino Basketball Court”).

A sinistra, Orizzontale: “Sexy Assemblage — The Danger and Seduction in Juxtaposing Differences that May Clash”; a destra, Pavilion of MEXICO: “Infraestructura utópica: la cancha de básquetbol campesina / Utopian Infrastructure: The Campesino Basketball Court”. Entrambe, ph. Marco Zorzanello / Courtesy La Biennale di Venezia.

Allora, la sostenibilità e il cambiamento climatico? Sottilmente allusi si toccano un po’ più con mano in installazioni come quella dell’Argentina (sul tema dell’acqua), della Germania (che semplicemente raccoglie gli avanzi materiali di tante precedenti esposizioni), del Bahrein (ancora sull’uso dell’acqua), dell’Olanda (sull’innalzamento del livello del mare); o nell’emozionante video di Liam YoungThe Greater Endeavor” che simula una gigantesca macchina per l’abbattimento della concentrazione di CO2 in atmosfera.

Everybody talks about the weather

Se il tema della crisi climatica va cercato alla Biennale nei sottintesi, risponde invece in modo diretto ed esemplare la mostra che Fondazione Prada propone, volutamente nelle stesse date, all’interno del palazzo di Ca’Corner della Regina, curata da Dieter Roelstraete con la collaborazione scientifica del New Centre for Environmental Humanities e dell’Università Ca’ Foscari.

Due immagini della mostra “Everybody Talks About the Weather”, Fondazione Prada, Venezia (ph. Marco Cappelletti / Courtesy: Fondazione Prada. Nell’inquadratura a destra, Chantal Peñalosa (1987), “Untitled, 2018” / Courtesy Galeria Proyectos Monclova & Chantal Peñalosa.

Un racconto che fonde meravigliosamente il rigore della ricerca scientifica con l’astrazione dell’arte visiva, collegando alcune scelte opere pittoriche con le condizioni ambientali e climatiche dell’epoca in cui sono state realizzate, e mostrando parallelamente con grafici e spiegazioni tecniche l’evoluzione del clima e i cambiamenti di ieri, di oggi e probabilmente di domani.

A sinistra, Anonimo veneto: “La laguna ghiacciata alle Fondamenta Nuove 1708, ca. 1709” (ph. Marco Cappelletti e Filippo Rossi) / Courtesy Fondazione Querini Stampalia, Venezia; a destra, Alix Oge: “Storm, 1969” (ph. Glenn Stokes) / Courtesy Stokes Haitian Art.

Il prezioso catalogo include poi una serie di saggi – a firma di storici, critici d’arte, climatologi, meteorologi, scrittori – che affrontano il tema del cambiamento climatico da vari punti di vista, con realismo ma senza un catastrofismo eccessivo e controproducente.

Everybody talks about the weather” non offre soluzioni ma aiuta a comprendere I legami tra l’uomo e il clima e a consolidare la consapevolezza dell’urgenza di questo momento critico. Come mette in evidenza nell’introduzione la presidente della Fondazione, Miuccia Prada, le opere dipinte durante la “piccola era glaciale” con laghi e lagune ghiacciate, o le albe nebbiose di Turner e Monet agli albori della rivoluzione industriale erano obiettivi riscontri del momento meteo-climatico, mentre i lavori degli artisti contemporanei sono intenzionalmente rivolti alla denuncia delle mutazioni in atto sul nostro pianeta.

Non a caso, quindi, la proposta di Fondazione Prada va guardata assolutamente in parallelo con quella della Biennale per poter avere una percezione completa del tema – sostenibilità e urgenza climatica – e andare, successivamente, alla ricerca delle soluzioni che – né qui né là – sono ancora date.

Sopra a destra, una frase iconica di Koffi & Diabaté Architectes, in “Living Differently: Architecture, Scale and the New Core”, Courtesy La Biennale di Venezia.

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