Speciale Outdoor: tra gioco e sport

Gli spazi pubblici delle città attrezzati per essere fruibili in modo multidisciplinare: dallo sport, al gioco, al semplice attraversamento. Il modo più attuale di favorire l’attività motoria, che sia ludica o agonistica, è quello di aprire quanto più possibile gli spazi per uno sport non codificato: è quello che vediamo, negli ultimi anni, programmare e realizzare da parte delle Pubbliche Amministrazioni.

Pubblicazione cartacea su: Tsport 360
(foto Maria Sbytova)

Il gioco in pedagogia è un’attività fondamentale del bambino per il suo sviluppo emotivo, cognitivo, motorio, relazionale. Con il gioco, il bambino apprende, sviluppa capacità comunicative e creatività; impara a dominare le proprie emozioni e a conoscere la realtà esterna; instaura rapporti con gli altri, attraverso i quali può trasmettere competenze e apprendere nuove abilità.

Il gioco è peraltro un istinto primordiale dell’essere umano, caratterizzato da un’attività fisica priva di regole definite.

Lo sport, invece, è un’attività fisica esercitata entro una regolamentazione codificata: che sia svolta in ambito competitivo o per puro divertimento.

L’uso delle parole non sempre chiarisce gli esatti confini tra una pratica e l’altra. Secondo l’Enciclopedia Treccani, il GIOCO è “qualsiasi attività a cui si dedichino, da soli o in gruppo, bambini o adulti senza altro fine che la ricreazione”. Invece lo SPORT è una “attività intesa a sviluppare le capacità fisiche e insieme psichiche, e il complesso degli esercizi e delle manifestazioni, soprattutto agonistiche, in cui tale attività si realizza, praticati nel rispetto di regole codificate da appositi enti, sia per spirito competitivo (accompagnandosi o differenziandosi, così, dal gioco in senso proprio), sia, fin dalle origini, per divertimento, senza quindi il carattere di necessità, di obbligo, proprio di ogni attività lavorativa”.

Spiega sempre la Treccani che “quando l’impegno sia del tutto disinteressato, quando non miri al superamento di primati o al successo in competizioni regolarmente organizzate, quando non implichi la mobilitazione di risorse tecniche o sanitarie, ma venga affrontato soltanto per divertimento personale e con mezzi di fortuna, dal concetto di sport vero e proprio si passa o si rientra in quello dello svago; diventa fondamentale l’utilizzazione del tempo libero (…), ma non va sottovalutata la dimensione educativa che possono assumere la conoscenza e la pratica dell’attività sportiva”.

Ecco già che concatenando fra loro le definizioni che individuano il gioco, l’attività motoria e lo sport, possiamo già tracciare un preciso legame anche a livello di spazi dedicati: rispettivamente, al gioco, all’attività sportiva non strutturata, e allo sport vero e proprio.

Il Decreto legislativo n. 36 del 2011, in attuazione dell’art. 5 della “riforma dello sport” (Legge n. 86 del 2019), rincorrendo (più che anticipando) le esigenze dei cittadini di oggi, delinea all’art. 3 questi “principi e obiettivi”:

   1. L’esercizio dell’attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libero.

  2. Il presente decreto intende perseguire i seguenti obiettivi:

    a)  riconoscere il valore culturale, educativo e sociale dell’attività sportiva, quale strumento di miglioramento della qualità della vita e di tutela della salute, nonché quale mezzo di coesione territoriale;

    b) promuovere l’attività motoria, l’esercizio fisico strutturato e l’attività fisica adattata quali strumenti idonei a facilitare l’acquisizione di stili di vita corretti e funzionali all’inclusione sociale, alla promozione della salute, nonché al miglioramento della qualità della vita e del benessere psico-fisico sia nelle persone sane sia nelle persone affette da patologie;

(ecc…)”.

Risponde un po’ a tutte queste premesse l’attività che i Comuni italiani negli ultimi anni stanno portando avanti con la programmazione non più sporadica e casuale ma spesso organica e articolata di spazi ludico-sportivi all’aperto, con il criterio principale del libero accesso: spazi quindi non recintati, disponibili a chiunque, dove praticare i diversi livelli di attività motoria sopra individuati: il gioco, l’attività motoria, lo sport, integrando l’utente bambino, adolescente, adulto.

In questo molte Regioni – come vediamo periodicamente attraverso la newsletter “Costruendo” – sono attive nell’erogare contributi espressamente finalizzati a questo tipo di impiantistica “non regolata”.

Nei casi descritti all’interno dello “Speciale Outdoor” vedremo quindi le varie declinazioni che l’impianto outdoor riveste nella pianificazione comunale, con una attenzione anche al valore di arredo urbano e di inquadramento paesaggistico soprattutto dove l’impianto assume il ruolo di rigeneratore di un’area degradata.

Appendice linguistica: chiamiamoli playground?

Nel nostro Paese siamo soliti usare i vocaboli di origine britannica senza rispettare integralmente il loro significato originario.

Negli articoli che seguono parleremo di parchi gioco con scivoli e altalene, nonché di campi multisport per basket e volley. A quali di queste due categorie si attaglia il termine “playground”?

I dizionari inglesi non fanno sconti.

Per l’Oxford, il playground, sinonimo playpark, è una “children’s outdoor play area”, in italiano un parco giochi all’aperto per bambini. La stessa parola, può essere intesa come “schoolyard”, ossia un’area giochi all’aperto della scuola.

Per il Collins, il playground è definito come “a piece of land, at school or in a public area, where children can play”: ossia un parco giochi, scolastico o in area pubblica, dove giochino i bambini. Una più generale definizione, dello stesso dizionario, con riferimento all’inglese di uso americano anziché british, definisce “an area used for outdoor play or recreation, esp. by children, and often containing recreational equipment such as slides and swings”: quindi un’area all’aperto per gioco o ricreazione, specialmente utilizzata da parte dei bambini, spesso attrezzata con scivoli e altalene.

Da noi si preferisce chiamare “playground” i campetti multisport: però non solo nella compassata Inghilterra ma anche a New York questi – compreso l’iconico “The Cage”, che compare in film e telefilm USA – sono chiamati quasi sempre “basketball courts”.

Ma dato che dobbiamo intenderci tra noi, rispetteremo anche stavolta la convenzione non scritta: i playground li chiameremo parchi gioco, e i campetti multisport li chiameremo, come è d’uso, playground…

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